La vita di Pi nella tempesta

Parlare di fede e religione senza risultare dogmatici o anche solo pedagogici è da sempre un'impresa complessa, facilmente assimilabile ad un esercizio di studio, se va bene, o di retorica, nella maggior parte dei casi. Ma Ang Lee sovverte questa idea e lo fa lui, il miracolo, senza scomodare iconografie o certezze apocalittiche. La vita di Pi, raccontata in questi minuti di cinema mozzafiato, girati con una tecnica iperrealista emozionante, che fa guardare come fosse toccare, quasi ferirsi con colori e movimenti, è un'intensa metafora  sul come ci si possa avvicinare a realtà il più delle volte impossibili da razionalizzare, riuscendo a scovere una propria idea, seppure travestita da sogno. O, se volete, viceversa. Pi è il figlio che tutti dovremmo cercare di crescere, assetato di trascendenza eppure ricco di aperte curiosità intellettuali, mai stanco di cercare e di porsi domande nonostante il mondo intorno a lui si affanni nello stigmatizzare ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Quando suo padre decide di imbarcarsi in una traversata oceanica per fare il salto, economico e sociale, dall'India verso il Canada, per vendere il suo piccolo zoo e per vivere una nuova vita con la sua famiglia, una tempesta onnivora travolge le loro vite. Pi si ritrova su una scialuppa di fortuna in compagnia di un orango, una iena, una zebra e della terribile tigre chiamata Richard Parker. E qui si apre la doppia chiave di lettura, la doppia visione: possiamo riconoscere negli animali, nella loro indole e nella loro sorte, come in una favola di greca memoria, i chiari caratteri di alcuni fra i coprotagonisti. O credere che davvero siano solo degli sventurati compagni di viaggio senza dono di parola, ognuno però con la sua storia, paradossalmente umana - troppo umana - da raccontare. E individuare nella tigre l'animo più selvaggio e segreto di Pi e forse di ciascuno di noi, col quale si deve combattere fino a quando non impariamo a conviverci. Forse nel naufragio Pi è solo, perlomeno fisicamente e lotta strenuamente affinchè il suo intelletto possa abbracciare il mistero della natura e della vita, insegnandogli a sopravvivere. O invece davvero Richard Parker , nome e cognome, fauci ed occhi di brace, lo accompagna sino al raggiungimento della terraferma e di una nuova scelta di libertà. In entrambi i casi alla fine di questo film non si potrà non amare Pi, non desiderare che sia esistito davvero, tigre compresa; non si potrà non decidere di assomigliargli, in ogni avventura, in ogni piccolo o grande naufragio. Fosse anche semplicemente in casa propria, senza oceani ad invitarci, sentendoci forse un po' meno soli sul cuore della terra e con una grande voglia di riconoscerci ancora. (La vita di Pi, Ang Lee, 2012)

24-09-2013 | 15:40