I convalescenti secondo Bertolucci

Per quanto possa essere bello parlarne, c’è un grande bisogno di fare esperienza della poesia. A chi la teme, o peggio la ignora o la disprezza, si può offrire come il lieve respiro di una delicata brezza, non come l’aria pesante di accademie, aule o circoli elitari.

In questo periodo di convalescenza, del corpo, della mente e della vita quotidiana, appare come un breve e gioioso manifesto Convalescente, una poesia pubblicata nel 1934 da Attilio Bertolucci, nella raccolta Fuochi in novembre. Può accompagnare felicemente i giorni che stiamo vivendo, perché non si abbandona a una cieca speranza ma riaccoglie con i sensi ciò che prima è stato loro negato, esprimendo meraviglia e velata gratitudine.

Extrasistole e pleurite segnarono la loro presenza in Fuochi di novembre, seconda raccolta poetica che valse al giovane Bertolucci l’attenzione di vari poeti, di Ungaretti e soprattutto di Montale. Nel dopoguerra ottenne successo e strinse amicizia con i grandi poeti del Novecento italiano, oltre a essere sorpassato nella fama da suo figlio Bernardo. Della sua poesia si è parlato in termini di «antinovecentismo», naturalità, narratività e colloquialità, oltre a rimarcarne il legame con Parma e la sua campagna, ma come sempre, parlando di personaggi di questa entità, si finisce per non essere esaustivi così «che molte volte al fatto il dir vien meno», per usare le parole di Dante. Difatti, ora, è meglio lasciar parlare la poesia.

 

Convalescente

Ancora vita il tuo dolce rumore

dopo giorni bui e muti riprende.

Porta il vento di maggio l’odore

del fieno, il cielo immobile splende.

Gli occhi stanchi colpisce di lontano

il rosso papavero in mezzo al tenero grano.

 

 

19-05-2020 | 18:25