Quando una donna è sovversiva?

Giorgia Boselli

Mi è stato insegnato a essere sempre gentile e diffidare degli sconosciuti; a non piangere, perché fa diventare brutte – guarda invece quanto sei bella se sorridi! – e a sedermi composta soprattutto quando porto la gonna. Sono cresciuta ed ho fatto quanto potevo, ho diffidato degli sconosciuti con tutta la gentilezza possibile, mi sono nascosta quando mi sentivo brutta, perché piangevo, perché sanguinavo. Non vedete quanto sono bella quando sorrido? Ho sorriso in poche foto, forse per contrappasso, in nessuna ho pianto.

Nel frattempo è trascorso del tempo nel quale ho letto, scritto, ho detto, studiato, ho viaggiato. Così è capitato che alcune di queste foto venissero viste, ma solo per curiosità. Non per altro. Mi sono arrivati commenti che, nonostante la mia propensione a essere gentile, mi hanno colpita.

"Sei attraente, devi stare attenta a quello che dici".

È certamente una frase insensata, anche se stranamente efficace: piccolo nonsense di galanteria insultante, che riesce ad ottimizzare tutti i pregiudizi che, negli anni, ho avuto modo di osservare rispetto al lavoro e alla vita di molte donne. Io, fra l’altro, nel mio essere sono veramente poco attraente.

Sentire questi pregiudizi insinuati, messi in bella mostra, è stato in qualche modo liberatorio, quasi catartico: eccoli allo scoperto, francamente ridicoli come sono, non più mascherati da consigli paternalistici, non più avviluppati in quei viscidi complimenti che ti lasciano ammutolita perché ti hanno insegnato a rispondere educatamente o semplicemente perché, non sai proprio cosa dire.

Eccoli lì, invece, nella loro abbagliante semplicissima, quasi (quasi) tenera semplicità.

Una donna che parla di cose importanti, perché la sua opinione conta, è una sovversiva pericolosa. Spesso accade che il linguaggio comune porta cicatrici, mal rimarginate, anzi, temo proprio siano ferite ancora aperte. Mi inorridisce quando sento, riferita ad una donna forte, la delicata espressione – è una donna con le palle – declinata in varie gradazioni di bruttezza, sia di forma che di contenuto.

Per essere meno sovversiva la donna che ha un certo potere intellettuale, o di altro genere, può scegliere se essere un po’ meno donna, o un po’ meno potente.

O meglio: lei può scegliere fino ad un certo punto, perché a forzare la mano in una direzione o nell’altra sarà poi, naturalmente, chi racconterà quella donna e la sua vita. Nella Storia, per lo più tramandata da uomini, le donne sembrano più aver prediletto la prima opzione.

Per questo, più che donne di potere queste sono state tacciate come donne cattive. Mary Tudor, o se preferite Maria la Sanguinaria, sotto il cui regno morirono tanti protestanti, oggi riecheggia come nome di un cocktail, che non bevo per partito preso, anche se solo succo di pomodoro. O Elisabetta I, sua sorellastra minore, che Mary non esitò a rinchiudere in prigione, trattamento che lei poi riservò, a sua volta, alla cugina, aggiungendovi anche una bella decapitazione.

Vi è da dire che allora il potere mostrava senza troppi orpelli il suo volto più spietato e crudo.

È bizzarro che le sovrane che la Storia ricorda conserviamo traccia anche dell’esagerato potere seduttivo che, si dice regolarmente, usarono in maniera attiva, spregiudicata, fatale. Niente di nuovo.

Sono cacciatrici, non prede, qualcuna viene ricordata come ninfomane, come Messalina, che fu costretta a sposare un tizio zoppo, balbuziente e pure di trenta anni più vecchio di lei (povera) anche se futuro imperatore. Chissenefrega.

Oppure Grimilde, la regina cattiva di Biancaneve: un personaggio di fiaba ma non meno interessante. Lei che è una regina, che dispone di un potere tale da poter ordinare, come nulla fosse, a un cacciatore, di portarle il cuore di una ragazzina ben confezionato in uno scrigno; lei che può compiere incantesimi e malefici perché siamo in una fiaba ed è anche un poco strega. Lei che insomma potrebbe tranquillamente godersi questo sterminato potere, decide invece di distruggerlo. Lo intacca, poco a poco, lasciando che l’idea di sé, dentro lo specchio servo delle sue brame, sia corroso da quell’acido potentissimo di un’ossessione impossibile da tenere sotto controllo.

Ossessione che è il marchio di una competizione senza speranza, che ha senso unicamente come misura di una quotazione di mercato immaginario della desiderabilità: la bellezza.

Così la regina, consegna le chiavi del suo potere a un piccolo cumulo di passioni tristi, all’invidia, alla gelosia, all’odio che di quel potere faranno brandelli.

E poi c’è anche Olimpiade, nota come madre di Alessandro Magno, che ebbe una vita molto avventurosa, dedita al culto dionisiaco dei serpenti, era solita dormire con un rettile nel letto, il che non dovette facilitare la sua vita coniugale.

Lei, figlia di re, madre di re, sposa di un re, Filippo, il quale, bontà sua, esercitava, allegramente la poligamia, tanto da arrivare, bel bello, un dì, alla reggia di Pella portando con sé una delle sue due concubine, che si diceva praticasse arti magiche e che solo per questo motivo avesse irretito quel cretino di Filippo. Olimpiade volle incontrarla per ridurla in suo potere e vincerla, ma “quando questa, venuta in presenza della regina, era apparsa bella di sembianze e per giunta di conversazione che non difettava né di buona educazione né di intelligenza, esclamò: via con queste calunnie! Tu hai l’incantesimo magico in te stessa”

Che bello trovare nelle parole attribuite a Olimpiade una risposta da ricordare la prima volta che sentiremo dire di una donna che sa farsi rispettare perché è una con le palle. “Via con queste calunnie! – diremo – ha l’incantesimo magico in se stessa”.

E magari potremmo pure continuare a sorridere, ovvio, senza necessariamente mostrarci cattive. A meno che non lo vogliamo.

 

 

28-05-2019 | 16:21