La più bella serata della mia vita

Di cosa è stato capace Ettore Scola, quanto di noi, italiani bravi, pessima gente, è riuscito a tirar fuori. I suoi affreschi della società e ancor più del suo nucleo fondante, ovvero la famiglia e gli individui che la caratterizzano, spesso macerandola, sono fondamentali canali che uniscono – e, troppo spesso – separano, le atmosfere neorealiste e il cinema contemporaneo.

La sua filmografia è ricca e variegata come poche altre e raccontare di lui, a poche ore dalla sua scomparsa, scuote ovunque, dalla memoria ai sogni per il futuro.

Poco presente sul piccolo schermo, e forse troppo raramente ricordato, è il film “La più bella serata della mia vita”, capolavoro grottesco e drammatico da rivedere assolutamente, ispirato al racconto “La panne. Una storia ancora possibile”, di Friedrich Durrenmatt e al suo adattamento teatrale.

Protagonista della pellicola è Alfredo Rossi, alias un Alberto Sordi tirato al massimo delle sue corde, interprete geniale di un personaggio squallido e insieme di una vivida vitalità a tratti inconfessabilmente invidiabile.

Alfredo insegue bellezza, piacere, potere, denaro, senza il minimo scrupolo riguardo ai mezzi che giustificano cotanti fini. Di origini umili, vive pienamente il proprio illusorio riscatto, attraverso il perseguimento di obiettivi affatto nobili ma soddisfacenti la voragine di un animo inaridito.

Rientrando dalla Svizzera, dove doveva depositare una ben poco candida somma di denaro, rimane con l’auto in panne mentre insegue una misteriosa e seducente motociclista. Si ferma così a dormire in un castello, dove viene accolto da un conte e da suoi eccentrici commensali, tutti ex magistrati, che lo invitano a un gioco insolito, ovvero a una sorta di processo farsa.

Fra pietanze opulente e vini inebrianti, serviti dalla sensuale cameriera Simonetta, vien fuori la sua personalità agghiacciante, assai fiero di pavoneggiarsi della propria mancanza di scrupoli e della sua abilità nel manipolare persone ed eventi. La difesa dell’avvocato può ben poco dinanzi all’ostinazione di Alfredo nel raccontare orgogliosamente le sue gesta e il PM lo condanna a morte.

Alfredo si turba solo per un attimo, ricorda che è solo un gioco e se ne va a dormire, invitando la giovane Simonetta a fargli compagnia. Ma, complice la boccaccesca cena, il sonno lo travolge. E qui abbiamo il capolavoro, ovvero la resa in cinema del sogno, con mezzi infinitamente meno raffinati rispetto a quelli odierni, ma che rendono la suggestione onirica con un’intensità davvero emozionante. Nel sogno Alfredo ritrova la motociclista, ovvero il desiderio che lo ha portato sin lì, che lo guida per le stanze del castello sino a un patibolo, dove la sentenza del processo farsa si realizza.

Risvegliatosi di soprassalto, questa volta profondamente turbato, decide di ripartire. Cerca il conte per congedarsi e scopre che il castello è in realtà un albergo, carissimo. Riparte comunque soddisfatto, valutando che valeva la pena pagare per “la più bella serata della sua vita”, così come scritto sul conto salato che gli viene presentato insieme alla pergamena souvenir della sua fantomatica condanna nel processo della sera precedente.

Tutto ha un prezzo, per un uomo come Alfredo, anche le emozioni. Anzi, forse soprattutto quelle. E considerare una farsa la più bella serata della sua vita gli sembra normale, drammaticamente quasi dovuto.

Ripresa l’auto, che gli viene consegnata dicendogli che in  realtà non vi era alcun guasto al motore, incontra nuovamente la misteriosa motociclista e, non pago, di nuovo spavaldo e indifferente a qualsiasi suggestione, decide di inseguirla ancora.

Giunto a una curva la pergamena della condanna scivola sotto il pedale del freno e l’auto precipita nella gola sottostante.

Alfredo fa però in tempo a vedere la ragazza che si sfila il casco e rivela il volto di Simonetta, la cameriera che avrebbe voluto sedurre la sera prima. E ride, ride Alfredo. Ride fortissimo. Una risata terribile, interminabile, un’affermazione decisiva del proprio desiderio di restare com’è, fino alla fine, perché diversamente non saprebbe fare.

Scola, in questo come in altri suoi capolavori, ci offre senza sconti un ritratto dell’indole umana, scavandola sino all’osso, dimostrando una capacità incredibile di raccontare con chiarezza quello che non molti hanno il coraggio di raccontarsi.

 

 

20-01-2016 | 10:33