Joker vince o perde?

Nel 1946 usciva nelle sale americane il film di Frank Capra “La vita è meravigliosa”, tratto dal racconto di Philip Van Doren “The greatest gift”, scritto nel 1939.

Quindi un film nelle sale un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale tratto da un racconto scritto mentre le braci della stessa ardevano minacciose.

Eppure questo film per anni è stato il simbolo del Natale, la candela accesa alla finestra della speranza del nonostante tutto, il racconto commovente nel tenero bianco e nero di quel buon vecchio cinema americano ricco di ipocrisie consolatorie ma anche di slanci sinceramente romantici.

Per chi non ne ricordasse la trama (e sarebbe cosa grave, gravissima se avete più di trent’anni, da farvi meritare subito un omino di marzapane di consolazione) il lungometraggio racconta la vita di George Bailey, un uomo buono e generoso a cui va tutto talmente storto da desiderare di farla finita proprio durante la Holy Night.

Ma ecco l’angelo custode, l’amore bianco come la neve che cade morbida e intonsa e fa brillare gli occhi di un ormai quasi surreale James Stewart, che si salva mantenendo cuore puro e mani pulite e ci fa sedere a tavola con animo più leggero mentre passiamo la zuppiera con un sorriso anche alla zia acida, che avremmo strozzato volentieri un momento prima.

Nero. Lampi di luce metallica. Interno notte.

Altri volti occupano prepotentemente lo schermo nella nostra testa in questa lunga vigilia natalizia.

Il primo ha un trucco da pagliaccio sbavato, un ghigno orribile e un corpo che ci parla di ogni sofferenza che possiamo immaginare. Il Joker di Joaquin Phoenix, angelo vendicatore alla guida dei disperati di Gotham City.

Poi ecco in penombra due occhi che trasudano un genio allucinato, una frustrazione diventata improvvisamente forza centrifuga e inarrestabile: Walter White, alias Einseberg, protagonista della serie campione di incassi “Breaking Bad”, da mite professore di chimica a trafficante e killer in una spirale devastante.

In lontananza ora ci raggiungono le note di un flamenco incalzante, sensuale, avvolgente. Ma non facciamo in tempo a illuderci e a tirare il fiato che ne abbiamo una dozzina sul collo, spezzati dalla paura e dalla rabbia, filtrati dalle labbra di decine di donne vestite di giallo nella prigione della Cruz del Sur. Macarena, Zulema, Saray, Anabel e con loro altre fiere inselvaggite, snaturate, senza molto da perdere per ogni giorno che passa, protagoniste della serie spagnola “Vis a vis”.

Potremmo andare ancora avanti con i ritratti e le citazioni che ci giungono dal piccolo e dal grande schermo delle ultime stagioni e la cosa rassicura ben poco.

Basta pensarci un attimo e l’elenco di questi “losers” che si ribellano alla loro condizione con vendette efferate e violenze impensabili, si ingrosserà vertiginosamente nella memoria cinematografica degli ultimi anni.

George Bailey e la speranza del bianco natale non vanno più di moda, così come, senza necessariamente andare tanto lontano nel tempo, rischiano di risultare improvvisamente stucchevoli anche gli eroi positivi più giovani.

Sembra non portino più gente al cinema o comunque ne portano meno dei vendicatori di quella che appare essere una sempiterna notte, vittime di un sistema talmente ingiusto e spietato da far apparire quasi legittime le truculente ribellioni e le efferatezze più spietate. E con la pelle d’oca e il mal di stomaco, alla fine a tratti si fa pure il tifo per loro.

Fare la morale non serve in questi casi e men che meno rimpiangere i bei tempi andati, che poi belli non erano affatto, nemmeno loro. Il punto è che ce li raccontavamo così, almeno al cinema. Il lieto fine era la regola e non l’eccezione nell’evasione del racconto. Necessario, per dimenticare miseria, fatica, guerre e tutto quanto da sempre accompagna la condizione umana.

E allora viene spontaneo chiedersi quanto siano benevole certe scelte nella offerta di evasione, che sicuramente intercettano un malessere sempre più grave e dilagante anche grazie a strumenti di diffusione mediatica, comunicatori di messaggi spesso fortemente distorti o caricati a fuoco.

Perché a vedere certi film, orribilmente magnifici, ci vanno coloro che hanno goduto per anni del sogno di Frank Capra (senza crederci nemmeno per un attimo magari, però comunque commossi dalla speranza) ma anche e soprattutto quelli che non hanno nemmeno mezza idea di che cosa stiamo parlando accennando a film come quello. E per motivi implacabilmente anagrafici, il secondo pubblico aumenterà sempre di più.

Ad un anno dall’uscita di “La vita è meravigliosa” il regista ricevette migliaia di lettere da spettatori desiderosi di comunicargli il grande valore emotivo del suo film nelle loro vite. Pare che solo 1500 di queste provenissero dai detenuti del carcere di San Quintino e che raccontassero di quanto la storia di George Bailey e del suo angelo custode un po’ sgarrupato, avesse inciso positivamente sul loro desiderio di non mollare e di impegnarsi per un futuro migliore, condizione di sconfitti inclusa.

“Nessun uomo è un fallito se ha degli amici”, dice l’angelo Clearence a George, quando tutto sembra perduto.

Resta da chiedersi se siamo ancora in tempo per raccontare storie così e se troveremo qualcuno disposto ad ascoltarle, nonostante tutto.

Nel frattempo, a Natale, scegliete bene il film da guardare in famiglia, specie se la cena si preannuncia impegnativa e le solite zie sono belle cariche grazie anche alle loro ultime passioni cinematografiche.

 

Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli la speranza.
(Seneca)

 

 

15-10-2019 | 17:54