Jack London alla ricerca dell'oro

Era il 17 luglio del 1897 quando una nave proveniente dall'Alaska attraccò nella baia di San Francisco, a bordo quindici uomini e una tonnellata di oro proveniente dal Klondike. Il resto lo fecero i giornali e gli strilloni sguinzagliati per le strade americane: la febbre dell'oro si impadronì di un paese economicamente provato, creando in migliaia di disperati il miraggio della ricchezza. Tra i tanti sensibili a quel canto di sirene c'era un ragazzo che lavorava in una lavanderia, si chiamava Jack London e, nonostante la giovane età, non era certo sprovveduto: abbandonata la scuola aveva fatto i lavori più disparati, era stato in carcere per vagabondaggio, ma soprattutto era un aspirante scrittore di scarso successo. Al pari di molti altri americani con pochi soldi in tasca pensò che il Grande Nord gli avrebbe offerto una grande opportunità, così convinse la famiglia a finanziare il suo viaggio con un prestito, il cognato impegnò la casa e partì con lui. Diversi percorsi conducevano ai giacimenti di oro, ma la maggior parte degli speranzosi cercatori si imbarcava su navi che salpavano da San Francisco o da Seattle per approdare nei due porti principali dell'Alaska, Dyea e Skagway. Una volta giunti qui la vera sfida era solo all'inzio, il Klondike infatti si trovava molto più a nord e raggiungerlo non era certo un'impresa facile. Quelli che sbarcavano a Skagway potevano percorrere una strada apparentemente priva di insidie ma che diventava sempre più impervia, tanto da prendere il nome di Dead Horse Trail, per il numero di cavalli che perdeva la vita lungo i sentieri a strapiombo sulle rocce. Coloro che sbarcavano a Dyea potevano percorrere il Chilkhoot Trail, più utilizzato ma non per questo meno pericoloso. Il sentiero, tutto in salita, raggiungeva una zona pianeggiante dove le autorità fermavano i cercatori per pesare l'equipaggiamento e i viveri e assicurarsi, prima che entrassero nel territorio canadese, che avessero abbastanza risorse per sostentarsi durante la permanenza. Qui cominciava la parte peggiore della salita, troppo ripida per gli animali, costringeva i cercatori a caricare tutto sulle spalle e a salire un dislivello di trecento metri, coperto di ghiaccio e neve, conosciuto anche col nome di Golden Staircase. Chi sopravviveva al freddo, alla fatica e alle valanghe approdava a due laghi, dove poteva accamparsi e costruire le canoe che sarebbero servite per percorrere gli ottocento chilometri del fiume Yukon e approdare infine al Klondike. Ecco dunque quello che attendeva Jack London e i suoi compagni: il cognato James Shepard, il carpentiere Merritt Sloper,  l'esperto minatore Jim Goodman e Fred Thompson. Contrariamente ad altri, che partivano inconsapevoli delle insidie dell'impresa, London sapeva cosa lo aspettava perchè aveva studiato la geografia della zona e i possibili percorsi. Il gruppo sbarcò il 2 agosto a Skagway, ma la vista dei cavalli che morivano come mosche ai primi freddi e marcivano accatastati uno sull'altro lungo il Dead Horse Trail li terrorizzò, decisero quindi di spostarsi verso Dyea e risalire il Chilkhoot Trail. Per portare tutto l'equipaggiamento e i viveri lungo la Golden Staircase London e i suoi compagni impiegarono venti giorni, la durezza dell'ultimo tratto del percorso indusse Shepard ad abbandonare il gruppo per tornare a casa, gli altri proseguirono. Era l'8 settembre quando i quattro raggiunsero il lago Lindeman, dove Sloper, forte delle sue conoscenze di falegnameria, costruì con l'aiuto dei compagni due imbarcazioni per percorrere il fiume Yukon. L'inverno era ormai nell'aria e presto il fiume non sarebbe più stato navigabile a causa del gelo, bisognava sbrigarsi “...eravamo di fretta, tutti erano di fretta, specialmente durante le febbre dell'oro del Klondike del '97. Ottobre era alle porte, la terra si copriva di neve e il fiume minacciava di gelare da un momento all'altro. Ma lo Yukon presentava una sfida potenzialmente mortale: due pericolosissime rapide da attraversare. Molti sceglievano di non avventurarsi sul fiume, ma non Jack London e il suo gruppo: l'inverno li tallonava e così decisero di affrontare entrambe le rapide. Superarono le Miles Canyon Rapids stretti fra gole di granito, ma le White Horse Rapids “una successione di onde schiumose alte come montagne” quasi li uccise, furono presi in un vortice che sollevò la barca come fosse una foglia, London perse il controllo dell'imbarcazione e furono scaraventati verso la gole del Canyon, ne uscirono illesi per miracolo. Si trovavano a sole 75 miglia dalla loro meta, ma la temperatura era già scesa a quaranta gradi sotto lo zero e il gruppo si accampò a Dawson City, in una piccola casa abbandonata dove si diedero da fare ad accumulare legna per il lungo inverno. Dawson City era un'importante crocevia per i cercatori d'oro e la piccola abitazione di London diventò presto il fulcro della vita sociale del luogo: molti si fermavano per scaldarsi, giocare a carte e ascoltare quel giovane narratore di storie che affascinava tutti con la sua intelligenza, il suo idealismo e la sua cordialità. Con l'arrivo della primavera London cominciò a perdere i denti, macchie scure apparvero sulla sua pelle, mesi di pane, fagioli e bacon gli avevano causato lo scorbuto, un medico del luogo gli consigliò di tornare quanto prima negli Stati Uniti per salvare la pelle e così London fu costretto ad abbandonare l'impresa. Altri furono i compagni sulla strada del ritorno, in un viaggio che decisero di considerare un viaggio di piacere. Navigarono lungo lo Yukon, passarono la città mineraria deserta di Forty Mile, si fermarono nella prima città degli Stati Uniti, Circle City, poi attraversarono il circolo polare artico fermandosi a Fort Yukon, continuarono attraverso l'Alaska fino allo stretto di Bering, un viaggio di ventuno giorni in un'imbarcazione che era grande abbastanza per cucinare e dormire. Si nutrivano del pesce che riuscivano a pescare, si fermarono un paio di volte per guardare gli indiani danzare, alla fine del viaggio erano stati divorati dalle zanzare, ma avevano visto panorami indimenticabili. Per pagarsi il ritorno a San Francisco London si imbarcò come mozzo su una nave, lavorò fino a quando il suo fisico cedette e lo costrinse a letto. Quando finalmente arrivò a casa aveva in tasca quattro dollari e mezzo “… Non ho portato indietro niente dal Klondike, se non lo scorbuto...”, considerazione amara di un animo prostrato. Era ancora inconsapevole che dal Klondike aveva portato con sé molto di più: tutto ciò che aveva visto, i personaggi incontrati, le storie ascoltate presero vita, diventarono libri. Forse non era tornato con le tasche piene di pepite d'oro, ma era nato uno scrittore.

 

 

 

04-09-2018 | 16:36