Il sesso nelle camere d'albergo

Leggo l’ultima pagina de Il sesso nelle camere d’albergo di Geoff Dyer e dalla cucina sento le voci del telegiornale. Le orecchie di mia nonna non funzionano più e il volume altissimo mi fa capire tutto il discorso dell’intervistato, un giovane della mia età che protesta. Il ragazzo vuole un contratto a tempo indeterminato e la sicurezza del posto fisso che il governo di turno gli sta togliendo per favorire gli imprenditori. Una lotta contro la possibilità o meno di venir licenziati – non sono molto informato sul tema specifico –, e subito mi tornano in mente le parole dello scrittore inglese per spiegare il suo licenziamento: “Sono d’accordissimo col licenziare le persone. Quasi tutti dovrebbero essere licenziati da lavori d’ogni genere […] Il mondo è un posto inefficiente e licenziare le persone non può che renderlo più efficiente”.

Geoff Dyer nasce a Cheltenham, South West del Regno Unito, nel 1958. Non è un figlioccio di Margaret Thatcher, proviene da una famiglia di proletari e non ha investito nel boom edilizio come i suoi colleghi ai tempi in cui era studente ad Oxford.

Ma chi è Geoff Dyer? E cos’è questo Il sesso nelle camere d’albergo?

Rispondendo alla seconda domanda è possibile ricavare informazioni a riguardo del primo quesito. Non è semplice, in un sistema in cui la categorizzazione è ossessiva – provate a contare quanti generi musicali sono catalogati – spesso si ritiene che solo collegando un nome a qualcosa saremo poi in grado di comprendere il tutto.

Il libro è una raccolta di saggi, scritti tra il 1989 e il 2010, che mette in luce uno scrittore capace di affrontare gli argomenti più disparati. La descrizione del mestiere di scrittore, una citazione di Susan Sontagche chiude il saggio “La mia vita da imbucato”, è indicativa dello stile dell’inglese: “idea di uno scrittore interessato a tutto”.

A proposito di recinti qui siamo in quello della non fiction e il saggio è l’elemento naturale con il quale esporre le proprie visioni, si può scrivere anche senza produrre in continuazione romanzi. Dyer è sempre stato un “imbucato” evitando con attenzione l’accademia e l’intralcio della specializzazione, seguendo un non modus operandi semplicissimo: “Mi piaceva l’idea di scrivere perché era un modo per non avere un lavoro”. Il lusso di perdere il proprio tempo libero e la capacità di annoiarsi. Due caratteristiche centrali che non gli hanno impedito di diventare un personaggio famoso, in Italia soprattutto grazie a due testi. Natura morta con custodia di sax, scritto esclusivamente sulla base di una passione musicale per il jazz e L’infinito istante, testo impostato sullo studio della fotografia pur non possedendo conoscenze tecniche in merito.

Tornando alla raccolta di saggi in questione l’autore spazia come al solito tra vari temi che trovano una parvenza di uniformità grazie alla divisione in: Visivi, Orali, Musicali, Variabili e Personali.

Si può raggiungere il deserto del Nevada, dove le fotografie di Richard Misrach documentano la rovina del vuoto scaturita dalle esercitazioni militari che “riducono il deserto a meno del deserto”. Don Delillo chiama queste distese dei “contenitori per il vuoto”, terribilmente affascinanti in un sistema dove i valori trascendentali sono in secondo piano. Sempre nella prima sezione troviamo gli scatti di Michael Ackerman, particolarmente amato dall’autore per la capacità di ricreare una spaesamento tanto acuto e buio quanto naturale.

Nel segmento successivo – Orali – si trova il libro che meglio “rappresenta cosa significa per me la letteratura”. Figli e amanti di D.H. Laurence è la grande ispirazione per non fermarsi davanti alle prime aspettative, usando la scrittura per vivere un’avventura. Successivamente si ragiona sul fallimento analizzando Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald, dove lo svago infinito diviene noia maledetta. GeoffDyer, lasciando scemare l’intenzione di scrivere una versione moderna del libro, parla delle capacità compositive insite nel “saper fallire”. Le classiche opzioni configurate dalla famiglia o da effimere passioni giovanili possono venire inghiottite dal tempo lasciando spazio ad altre innumerevoli inclinazioni, come dimostra Dyer.

Molte pagine più avanti si giunge in Algeria, nella terra di Albert Camus. Abbiamo il viaggio sulle tracce del pensatore per comprendere quanto il luogo fosse la base delle opere e il disorientamento davanti a tanta bellezza, e ad un monumento ai caduti, impersonale come non mai. L’incapacità di raccontare quel pezzo di Africa racchiusa in una frase: “Non rimangono sensazioni da vivere se non che questo è il luogo di cui Camus ha scritto nei suoi grandi saggi”.

In “Separazioni” rientrano dalla finestra le fotografie e la guerra, in un periodo storico dove la morte è così pervasiva in filmati ed immagine da sembrare inesistente nella realtà. E poi l’autista della navetta che fa la spola tra Belgrado e Budapest, un uomo per cui la vita “è fatta di addii, non di ricongiungimenti. Perciò abbiamo le canzoni e le fotografie. Le nostre vite sono fatte di separazioni”.

I fumetti e Spider-Man numero 46 messo sullo stesso piano di Figli e Amanti di Lawrence come importanza formativa, con un interessante riflessione sul vantaggio dei romanzieri americani. Essi hanno la grande possibilità quotidiana di accedere automaticamente all’enorme e al mitico, caratteri tipici della propria cultura, presenti anche nella fumettistica.

Infine la sezione Personali con la particolare solitudine del figlio unico, l’infanzia votata al risparmio e il primo anno di università dove si configura nella mente di Geoff che la propria vita sarà radicalmente diversa da quella dei genitori. In “Licenziato” c’è il desiderio e non la disciplina, la libertà di sprecare il proprio tempo e la responsabilità di essere il diretto artefice della propria felicità o infelicità.

Come può esserci routine in un uomo del genere? Leggendo “Anche detta condizione umana” invece si trova il chiodo fisso delle ciambelle, precisamente quelle prodotte dalla DoughnutPlant. Le esperienze a New York e poi a Tokio si modellano sulla ricerca del cappuccino e della ciambella, entrambi chiamati a rispondere ad infiniti requisiti per soddisfare completamente tutti i desideri. Aspettare la stessa cameriera, attendere per tutta la giornata la mattina successiva quando si potrà nuovamente consumare il prezioso prodotto e la riflessione sul fatto che “ovunque viviamo siamo sempre costretti a ripetere la stessa cosa di continuo […] a prescindere da dove siamo nel mondo”.

C’è molto altro da leggere in questo libro e se cercate l’originale inglese si intitola OtherwiseKnownas the Human Condition.

Detto ciò una cosa è certa: non andrò mai in piazza a reclamare un lavoro fisso. E per questo considerato serio.

 

 

18-11-2014 | 14:24