L'altro Donizetti

Camminando per Istanbul, ci si può imbattere nel “Palazzo Donizetti Hotel”; da qualche mese, anche in un “caffè Donizetti”. Tutti pazzi per Ernesto e Dorina? Non proprio! Il Donizetti eponimo non è infatti Gaetano ma il fratello Giuseppe, in Turchia meglio noto come Donizetti paşa: anch'egli musicista e protagonista di una delle tante storie – tutte dimenticate – d'incontri culturali italo-ottomani. Arrivò nella città sul Bosforo nel 1828, per ricoprire il ruolo di “istruttore generale delle musiche imperiali ottomane”: per sovrintendere cioè alle bande militari, che ovviamente addestrò secondo i principi della musica “occidentale”, ottenendo poi il grado di generale (o paşa).

Fu anche insegnante di musica dei membri della famiglia reale – principesse dell'harem comprese – e compositore: a lui si devono i primi due inni dell’impero, la marcia “Mahmudiye” del 1829 per Mahmud II e la “Mecidiye” del 1839 per il successore Abdülmecid I; organizzò stagioni operistiche e spettacoli musicali di ogni tipo a Pera oggi Beyoğlu (allora abitata soprattutto da europei), ospitò celebrità come Franz Liszt che gli dedicò la “Grande Paraphrase de la marche de Donizetti composée pour Sa Majesté le Soultan Abdul Mejid-Khan”. Gaetano lo chiamava “il mio fratello turco”; e Giuseppe a Istanbul rimase fino alla morte, nel 1856: è sepolto nella cripta della cattedrale cattolica di Saint Esprit.

Il suo posto venne preso da Callisto Guatelli (di Parma), che ripeté la carriera del predecessore e connazionale: direttore della banda militare fino alla morte nel 1899, insegnante di musica della famiglia imperiale, autore dell'inno Aziziye marşı per il sultano Abdülâziz, insignito del grado di generale/paşa. In più compose “24 Arie nazionali e canti popolari orientali, antichi e moderni”, brani tradizionali turchi con arrangiamento orientaleggiante, e la “Osmanlı Sergi Marşı” per la esposizione universale di Londra del 1862 in cui trovano posto echi del “God Save the Queen”.

Ascoltate questi brani in alcuni CD del direttore d'orchestra e musicologo Emre Aracı, fondatore della London Academy of Ottoman Court Music, a cui si deve la riscoperta di questo grandioso patrimonio culturale oscurato dal tempo e dai pregiudizi. Ma “Musica europea alla corte ottomana”, “Bosforo al chiaro di luna”, “Invito al Serraglio” ed “Euro-ottomania” contengono molto altro ancora e soprattutto delle chicche: composizioni di alcuni sultani, tra i quali Selim III, Abdülâziz e Murad V; una marcia di Gioachino Rossini dedicata ad Abdülmecid I.

I rapporti tra il cosiddetto “Occidente” e il mondo ottomano furono infatti molto più densi e fecondi di quanto si voglia far credere oggi: e soprattutto gli italiani svolsero un ruolo determinante come “mediatori culturali”, in tutte le arti e soprattutto in campo musicale. È un patrimonio perduto, che va assolutamente recuperato: anche come antidoto alle suggestioni dello “scontro di civiltà”, fondate per l'appunto sull'ignoranza e non sulla conoscenza. 

06-05-2014 | 16:15