A cosa serve il liceo classico?
Certo, è vecchio, e, nonostante mille restyling, un po’ si vede. Certo, non va più molto di moda, nonostante il suo nome suggerisca esattamente il contrario. Certo, deve rinnovarsi. Anche perché, chiuse le iscrizioni 2015/2016 per le scuole superiori, si ripropone un tema che ormai da alcuni anni fa discutere: sempre meglio, nel gradimento degli studenti e delle loro famiglie, licei scientifici e linguistici, al palo il liceo classico. E del resto, che senso ha, nell’era digitale, una scuola, caso rarissimo nel mondo, in cui il greco antico è tuttora materia curricolare e obbligatoria, insieme ovviamente al latino? Non servirebbe ben altro per formare l’uomo moderno, mettendo al bando inutili nostalgie? “Ho sentito dire – osservò in un discorso del 1946, tenuto al quinto congresso del Pci il latinista Concetto Marchesi – che la scuola deve formare l'uomo moderno; io non so che cosa sia quest'uomo moderno. La scuola deve formare l'uomo capace di guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l'uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell'epoca in cui vive”.
A chi puntava l’indice contro il latino inteso come strumento di selezione della scuola di classe, lo stesso Marchesi, più volte deputato comunista, affermò che era vero esattamente l’opposto: la selezione si fa sul merito, non con la semplificazione dell’istruzione, che premia invece il censo. Se il latino è stato spesso al centro di scontri ideologici, lo stesso è accaduto al greco, anche se il fenomeno è più recente.Qualche anno fa Bruno Vespa propose pubblicamente di abolire il greco, suscitando le riprovazioni dell’accademia, che non aveva torto nel merito, ma, come spesso accade, scivolò sulle motivazioni. Inutile idealizzare l’antico, ingenuo sostenere che il greco “fa ragionare” (le altre lingue no?). Meglio lasciar perdere anche l’argomentazione del patrimonio culturale, spesso vuotamente retorica (basterebbe studiare le civiltà antiche, non le lingue allora). E allora perché va difeso il greco, insieme con il liceo classico? La definizione migliore è stata offerta forse dal filologo Luciano Canfora: il liceo classico è una “trincea della democrazia”.
Al netto della metafora, in queste parole non c’è tanta retorica quanta sembrerebbe a una prima lettura. Tradurre latino e greco non è infatti un esercizio fine a se stesso, “ma è lo strumento principale per orientarsi nella comprensione degli altri e delle altre culture”. Non sono, queste, parole vuote: dalla geometria alla fisica, dalla storia all’astronomia, gli studi sull’antichità coprono ogni ambito dello scibile umano. Una palestra formidabile, che innesca nel discente un processo intuitivo e irripetibile, perché l’antichità è “un fecondo interlocutore permanente”. E il nostro mondo, quello contemporaneo, si capisce fino in fondo solo relativizzandolo a partire da mondi speculari eppure assai diversi, come quello antico. Non è un caso, come ha suggerito lo stesso Canfora, che le migliori opere di grecisti, latinisti e altri studiosi del mondo antico siano state prodotte – guarda caso – in ambiti del tutto differenti. Ad esempio, Toynbee, raffinato classicista, fu uno dei maggiori esperti di storia diplomatica moderna, lavorò al "British Foreign Office" e fu uno dei delegati alla Conferenza di pace di Parigi.
Lo stesso Canfora, del resto, è più noto al grande pubblico come storico (per di più del Novecento) che come filologo classico. Ma c’è una disciplina che apre le porte a tutto: la filosofia. E al classico si può studiare come in nessun’altra scuola. Perché se il latino è importante soprattutto come mamma dell’italiano, il greco proprio perché “è una lingua filosofica: le parole hanno molti significati, per cui bisogna mobilitare la propria intelligenza per capire qual è quello giusto rispetto al contesto. E dentro la cultura greca c’è tutto: teatro, filosofia, scienza...”. E quindi, “messo alle strette e spiegare perché valga la pena preservare il mondo dei classici – osserva ancora Canfora – direi che è perché al centro di tutto c’è la politica. Al centro del mito, della tragedia di Fedra come di Medea, delle liriche di Alceo come di Simonide: c’è la politica”.
Umberto Eco, avvocato difensore del Liceo classico in un recente, curioso “processo” ampiamente ripreso dalla stampa, in cui il liceo classico è stato assolto, ha ricordato Adriano Olivetti, pioniere nella costruzione dei primi computer, che assumeva ovviamente ingegneri e i primi geni dell’informatica, ma anche brillanti laureati che magari avevano fatto una tesi da lode su uno semisconosciuto scrittore greco. “Aveva capito che gli ingegneri sono indispensabili per concepire l’“hardware”, ma che per inventare un nuovo “software” occorreva una mente educata sulle avventure della creatività, esercitatasi su letteratura e filosofia. E, del resto, “tanti dei giovani che inventano oggi nuove “app” (e riescono benissimo in professioni che prima non esistevano)” vengono proprio da una formazione umanistica. Insomma, conserviamo il liceo classico perché “consente di immaginare quello che non è stato ancora immaginato”. E questo fa una certa differenza. Perché, per esempio, permette di distinguere “il grande architetto dal palazzinaro”.