Gli spaghetti ancestrali
Il lusso della semplicità, ripete sovente il maestro Gualtiero Marchesi. Apparentemente un banale piatto di spaghetti con zucchine e formaggio. Ma c’è un però.
Il lusso della semplicità, ripete sovente il maestro Gualtiero Marchesi. Apparentemente un banale piatto di spaghetti con zucchine e formaggio. Ma c’è un però.
Può un raviolo essere non raviolo? La domanda, che meglio forse si attaglierebbe (più che altro per la tematica esistenziale) a un tetro Principe di Danimarca che a un piano da cucina, presenta comunque alcuni tratti meritevoli di riflessione. Che Luisa Valazza del "Sorriso" di Soriso ha affrontato con grande competenza.
Nicola Fossaceca, che al suo Metrò serve una triglia in scapece espressa e straordinariamente vaporosa, sul confine labile fra Oriente e Occidente, dolce e salato. Rovistando nella memoria di una specialità che nel Vastese è tradizione, per quanto dimenticata: il pesce fritto, soprattutto razza e palombo.
Abusando sempre di Proust ma non qui: “All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio…” . Riso e latte in ordito incrociato per una torta che conforta il bimbo quanto l’adulto ringalluzzito dal tocco dolce-alcolico del Sassolino anicioso.
Una scarica frastornante, generata dal contatto fra contrari. Come un fulmine, ma in bocca, secondo un modello di bellezza presente nell’estetica occidentale fin dall’antica Grecia. Lorenzo Cogo docet.
Un piatto spiazzante e stordente qui a Ragusa, nel centro dell’Ibleide più profonda. Un piatto che ha rimandi botturiani (il camouflage) e sultaneschi (la triglia con “sanapo”) ma che nonostante ciò ha grande personalità e originalità. Una triglia che viene dal mare della Sicilia fragrante, sapida e iodata
Da una parte il controfiletto appena rosolato e avvolto in una foglia di verza, sbollentata e caramellata in forno; fatto riposare e riscaldato nel suo involucro. Dall’altra lo spicchio di pera aromatizzata in osmosi, ossia sottovuoto, con peperoncino habanero e cardamomo, per una sensazione di mostarda ma a crudo, fresca e croccante. Tutto questo da chef Alessandro Panichi.
Rimbalza dal piatto di Alessandro Dal Degan, un misterioso crogiolo di ingredienti tanto poveri quanto disparati, che esplodono nella luce spietata del suo flash. Come è bello il giallo, allora: quello della trippa cotta in bianco e mantecata con tuorlo d’uovo, succo di limone e Parmigiano, come una comune fricassea. Vicina a Vincent van Gogh.
C’era una volta uno scampo. Abitava gli anfratti marini che circondano le coste siciliane. Un giorno venne pescato e selezionato, insieme a pochi altri, per la cassetta di crostacei più belli. Quella partita preziosa che, come sempre, sarebbe stata acquistata da Pino Possoni per il suo ristorante. Giunto in cucina, lo scampo venne a lungo ammirato per la bellezza, la consistenza, il dolce profumo.
Conviene ripartire dalla fettuccina. Quella al “doppio burro” e Parmigiano che (dicunt) tale Alfredo Di Lelio, cuoco a Roma, inventò nel 1914 per spingere la moglie, inappetente, a nutrirsi (riuscendoci, pare). E che, sbarcata nel menu del di lui locale, divenne un hit “presunto romano” negli Usa al tempo della Cinecittà zeppa di divi.
Copyright © 2023, I Fiori del Male s.r.l,
- Credits NaftaComunicazioneCodice fiscale e Partita Iva: 12495131000