Vite fuori dal coro

C’è un’utile parola americana, nata dalla pratica dei cow-boys e da tempo entrata anche nel patrimonio dell’inglese britannico; maverick. Alla lettera vuol dire un capo di bestiame, soprattutto un vitello maschio, non marchiato. E non marchiato, perché si è volontariamente separato dalla madre e dal branco, ed è difficile da prendere.

Secondo il diritto consuetudinario delle grandi pianure, apparterrà a chi sarà capace di catturarlo e di marchiarlo. Ma come ho detto, in genere è difficile prenderlo. Con felice metafora, applicato agli uomini, maverick significa chiunque, mal sopportando l’appartenenza forzosa a branchi umani costituiti, si crea una sua esistenza indipendente, e, soprattutto, una sua cultura, spesso variegata e ricca, al di fuori delle didattiche di branco.

Nelle culture anglosassoni dove l’eccentricità è spesso pregiata, sono spesso i grandi mavericks a produrre il meglio. Mi viene in mente Walt Whitman (nella foto sopra), in America, o in Inghilterra, nel XVIII secolo, è un felice paradosso che il primo grande dizionario moderno della lingua inglese sia opera di Samuel Johnson, che per povertà non aveva studi universitari. Fu la sua grande opera a conquistargli una laurea honoris causa, e da allora è l’unico nelle lingue inglesi che meriti l’appellativo, mai omesso quando lo si nomina: Doctor Johnson. Grandissimo maverick– ossia privo di studi superiori – era forse lo stesso Shakespeare, e questo precisamente intendeva Ben Jonson nel suo epicedio, quando del grande Bill dice: «... and though he had small Latin and less Greek...», dovendo però concludere che il giovanotto era riuscito bene. Per fare un esempio vicino a noi, un grande regista come Tim Burton è maverick. Maverick è parola che da molti anni, e con molto orgoglio applico a me stesso.

Parola che mi gira per la testa ogniqualvolta leggo, con disgusto, molta della stampa italiana. Scribacchini – intellettuali? ma mi faccia il piacere! – accostumati da secoli di servitù prezzolata versano il loro servile scherno addosso a chi non abbia mai portato una borsa, pietito una prebenda, appartenuto alla parrocchia trionfante al momento, a chi non abbia mai per dirla in breve, leccato i culi giusti al momento giusto. A chi non creda che villetta e supermarket nella bassa Brianza sia la forma suprema della vita, ma sia affettuosamente curioso verso altri modi di vita, altre lingue, altri pensieri. A chi non deplori la violenza altrui per giustificare la propria. A chi non si accodi all’isterica piagnoneria cattolica esibita in tv, ma si mostri a occhi asciutti e dignitoso. A chi non contentandosi della deformazione morale imposta dalla scuola italiana, si sia formato nell’esperienza una sua cultura ricca e variegata, e di questa faccia la bussola della sua vita, e il garbo con cui, se può, migliora la vita altrui.

 

 

08-12-2014 | 19:48