A Venezia la corruzione viene da lontano

All'indomani delle elezioni europee, che hanno decretato la vittoria schiacciante del premier Renzi, più che del suo partito, sembra essere iniziata a Venezia una nuova tangentopoli che potrebbe allargarsi a macchia d'olio anche fuori dalla città lagunare. A più di un ventennio dall'inchiesta milanese “Mani pulite” che decretò la fine della classe politica della prima Repubblica, un nuovo scandalo scuote alla base tutto l'establishment italiano. L'inchiesta sugli appalti del Mose arriva come un ciclone sulla città della Serenissima: trentacinque arresti, molti dei quali eccellenti, e cento indagati; uno scandalo che unisce e livella tutta la classe politica veneziana e veneta dalla destra alla sinistra. Intanto, secondo un copione già visto mille e mille volte, i dirigenti nazionali dei partiti coinvolti, hanno già iniziato il balletto dei distinguo, l'appello alla prudenza e al garantismo, il ricorso alla sempre di moda teoria delle mele marce.

Ma Venezia, la città italiana più famosa nel mondo, ben più di Roma, ha una sperimentata storia di corruzione politica e morale. La città dei Dogi, nella sua struggente bellezza e unicità, sembra rappresentare la summa dell'Italia sofferente, meravigliosa e orrenda al tempo stesso, capace di far coesistere contraddizioni incredibili, come solo in essa possono essere possibili, tollerabili e tollerate.

Venezia, nacque il 25 marzo 421, sotto l'imperatore Valentiniano III, in una delle fasi di massima accelerazione del declino dell'Impero Romano d'Occidente: anni di sanguinarie invasioni barbariche, tra le quali quella degli Unni, di lotte intestine, che porteranno lo stesso Valentiniano III ad essere assassinato alcuni decenni dopo, e di tanta corruzione dell'Impero che dagli storici viene oggi considerata come prima causa di disfacimento dell'Impero.

Dall'Anno Domini 421, Venezia sembrò aver raccolto da Roma lo scettro di nuova Babilonia del mondo conosciuto, ha ereditato ed ha saputo creare splendori sfolgoranti e miserie indicibili.

La Serenissima dominò poi il mediterraneo, ma al suo interno prosperò la corruzione e l'accumulazione delle ricchezze nelle mani di poche e potenti famiglie: corruzione non solo politica ma anche e soprattutto morale e dei costumi. La città lagunare, viziosa e corrotta dei tempi di Giacomo Casanova, è ancora oggi ben ricordata, e alla vigilia della fine della Repubblica della Serenissima per mano di Napoleone, negli anni del suo massimo declino, un uomo entrato nella storia come incarnazione della perversione per antonomasia, Donatien-Alphonse-François de Sade, più noto come il Marchese De Sade, la visitò e la consacrò come massima città dannata dell'orbe terracqueo.

Nel 1776 De Sade fuggì dalla Francia a causa di condanne che pendevano su di lui e intraprese un lungo viaggio in Italia della durata di circa un anno. Visitò Torino, Piacenza, Parma, Firenze, Roma, Napoli e Venezia. Il ricordo di questo viaggio è arrivato fino a noi dalla narrazione redatta dallo stesso de Sade intitolata “Viaggio in Italia.” Il testo non fu pubblicato dal Marchese ma da Maurice Lever, il quale curò l'opera incompiuta a causa dell'arresto e della successiva prigionia del suo autore. Un uomo che più volte riportò nell’opera di come si scandalizzò, lui che era più scandaloso libertino del suo tempo, per l’incredibile corruzione politica, morale e sessuale che vigeva nella penisola italiana.

Tra le diverse città che visitò, descrisse Piacenza come un borgo fetido e decadente dove prostitute bambine venivano mandate dalle madri a sollazzare i viandanti alla luce del sole; scrisse di Firenze come un luogo i cui abitanti avevano costumi sessuali lascivi e scandalosi, e se erano scandalosi per l’uomo dal cui nome deriva la parola “sadismo” è difficile immaginare quale livello di degrado morale regnasse. Lo stesso De Sade in questa sua odissea del meretricio in terra italica, riportò il detto in voga in quegli anni nell’Italia settentrionale “Se le fiorentine son libertine, le veneziane son tutte putt…”. Venezia fu infatti l’ultima tappa del suo viaggio in Italia, e proprio nella città dei Dogi, secondo De Sade, si raggiungeva l’apice del libertinismo e del disfacimento morale in qualunque sfera umana: la città lagunare era infatti nota al tempo come il più grande bordello del mondo dove tutto ruotava intorno alla mercificazione del sesso, con la particolarità del fatto che la prostituzione maschile, sia omosessuale che non, era praticata quasi alla pari di quella femminile. Lo stesso De Sade in breve tempo arrivò a collezionare più di un centinaio di talami omosessuali.

Con l'inchiesta del Mose si è forse ha scoperchiato il vaso di Pandora. La città di San Marco aggiunge dunque un altro capitolo alla sua storia maledetta e decadente, ma che nonostante tutto, resta meravigliosa e disarmante nelle sue tante contraddizioni. Venezia come l'Italia tutta.

 

 

06-06-2014 | 14:31