Uomini come polli (da batteria )

Nel ristorante dove mangio spesso a mezzogiorno una metà della clientela è fatta da studenti, l’altra metà da bancari. I tavoli sono comuni: è quel che si chiama, con nome improprio «Enoteca», improprio perché qui più che alla conservazione ci si dedica al consumo dei vini. Spesso, quando mi trovo a essere l’unico non bancario a un tavolo tutto di colleghi osservo attentamente le dinamiche che governano – in modo del tutto automatico e irriflesso, si direbbe – il comportamento di gruppo di queste persone, costrette per una buona parte della giornata a vivere in comune in una struttura sociale gerarchica. Il paragone coi polli di batteria sorge immediato alla mente.

Questi, i polli, come si sa, se scoprono una piccola ferita in un compagno di prigionia, cominciano a beccarlo in quel punto sino a scavargli piaghe in corpo divorandoselo poco a poco. Quelli, i bancari, gli impiegati, nel proprio gruppo hanno sempre uno che svolge il ruolo di buffone e vittima predestinata. Le conversazioni sono spesso di questo genere. «Di’ su, perché non vai in palestra, con quella pancia che hai?!». E tutti a ridere. Gli altri vanno «in palestra», anzi, buona parte della conversazione è dedicata a consigliarsi a vicenda le rispettive palestre. I risultati, su quasi tutti, si direbbero risibili. Ma non importa, e la tortura continua. «Di’, ma quell’abbronzatura lì cos’è, lampada? Avevi detto che eri stato a Cortina, ma guarda che il sole di montagna abbronza in modo diverso. Quella è lampada casalinga, e poi solo la faccia, perché hai le mani bianche». «Io in palestra la faccio integrale», interloquisce uno, intendendo l’abbronzatura. Risolini pruriginosi di femmine e maschi. «Di’, ma quel Rolex lì da chi l’hai preso, da un albanese? Fa vedere?! Ma guarda che è falso!». Il poveretto si schermisce, vorrebbe scavare un buco per terra, non esser mai nato, tutto l’impossibile. Ma mai che si ribelli.

Quelle continue aggressioni al suo aspetto fisico, alle merci e protesi che indossa, – il pullover che porta «fa schifo», lui non «ha gusto per i colori», e poi «non è cachemere», la sua macchina «è vecchia e sempre sporca» – alla sua inettitudine al gioco del calcio – «quando sta in porta e vede una palla che arriva scappa» – fanno parte di una tortura quotidiana che subisce come un destino. Pesantissime allusioni a scarsa e fallimentare vita sessuale del poveretto suscitano risate compiaciute nei maschi e risatine malignette nelle femmine. È probabile – me lo domando – che negli uffici si trasferisca, aggravandosi, un comportamento di aggressione verso chi viene avvertito come diverso e più debole che è tipico delle scuole con molti problemi sociali irrisolti e pessimi insegnanti? La mentalità da pogrom che avverto in questi impiegatini, giovani e bruttini, con colla in testa, lampadati e palestrati, chachmirati e rolexati, senza che il miracolo della bellezza e dell’eleganza si compia, mi fa orrore, o peggio, paura. Dategli un capro espiatorio collettivo e vedrete di cosa sono capaci.

07-09-2015 | 11:34