Una chiesa non è un hangar

Sembrano autogrill, discoteche, hangar, supermercati, ma davvero non chiese. No, non sembrano mai chiese. Oppure forse sì, perché quando vediamo un edificio stravagante dalla funzione incomprensibile ormai pensiamo: potrebbe essere una chiesa!

E, davvero, diventa fin troppo facile stroncare tante chiese costruite negli ultimi quarant’anni. Le hanno fatte nei modi più bizzarri, quasi offensivi, addirittura omettendo la croce. Ma senza croce non c’è salvezza e redenzione. Due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno espresso dubbi e critiche sulle qualità dei nuovi edifici di culto. Un cardinale, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – Monsignor Ravasi, in pratica il ministro della cultura del Vaticano – riconosce che sono “chiese nelle quali ci si trova sperduti come in una sala per congressi, distratti come in un palazzetto dello sport, schiacciati come in uno sferisterio, abbrutiti come in una casa pretenziosa e volgare”. Da ultimo, ma non ultimo, lo storico dell’arte Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani: “Più che nuove chiese sembrano musei, o grandi magazzini. Ambienti che non invitano alla meditazione, privi del senso del sacro e senza nessun afflato mistico-religioso”. Nonostante l’autorevolezza delle voci critiche, nonostante l’evidenza del giudizio negativo quasi unanime dei fedeli, si continuano a costruire chiese una peggio dell’altra. I progettisti sono architetti di primo piano. Massimiliano Fuksas, a Foligno, ha realizzato il complesso parrocchiale di San Paolo: un incombente enorme cubo di cemento (sopra) Mario Botta, con grossi “scatoloni” in mattoni, a Torino ha fatto il “Santo Volto” (sotto, fig. 3). Richard Meier ha costruito la chiesa simbolo del Giubileo a Roma, “Dives in Misericordia”, sovrapponendo quinte curve di cemento armato bianco (fig. 4). Questi malaugurati esempi di edifici davvero difficili da identificare come chiese, diventano poi modello per tanti altri architetti minori chiamati a progettare luoghi di culto. E non ci si può nascondere dietro problemi di scarsità di fondi: le cifre sono ingenti e i risultati davvero deludenti.

Che fare allora? Tornare a forme riconoscibili, e simbolicamente significanti, come la basilica e il cerchio simbolo dell’eternità. Orientare gli edifici a est in modo che il primo raggio di luce, simbolo della grazia, entri il mattino e illumini il fedele. Riprendere con umiltà e studiare la tradizione millenaria che ci dona ancora modelli luminosi. Un esempio è il progetto della chiesa di Leon Krier nella riqualificazione del quartiere periferico romano di Tor Bella Monaca (fig. 1 e fig. 2). Per ora purtroppo è solo un bellissimo progetto. Ma non per questo perderemo la fede.

27-11-2013 | 11:22