Un ponte d'artista per rinascere

Il Polcevera è un torrente lungo 11 kilometri che nasce a Pontedecimo dalla confluenza del Verde e del Riccò per sfociare nel bacino portuale di Genova, tra Sampierdarena e Cornigliano. La portata di 4,81 metri cubi al secondo e le dimensioni dell’alveo, ridotto dagli argini ottocenteschi, lo apparentano molto più strettamente alla famiglia dei rigagnoli che a quella dei fiumi. Al fine di scavalcare questo modesto corso d’acqua collegando i due fianchi della Val Polcevera, il 4 settembre 1967 venne inaugurato un superbo ponte autostradale progettato  dall’ingegner architetto Riccardo Morandi. L’opera, maestosa e tecnologicamente avanzata, era uno dei fiori all’occhiello dell’Italia rinata, nuovamente intraprendente, capace come un tempo di coniugare l’utile con il bello e quasi prospera. Fu il presidente Saragat che, in un giorno di festa, tagliò il nastro tricolore sotto un violento nubifragio.

In quello stesso anno, Luciano Benetton, giovane industriale lungimirante, avendo intuito come per gli Italiani fosse giunta l’ora di godersi finalmente un po’di tempo libero, decise di reclamizzare la maglieria colorata prodotta dalla propria azienda attraverso l’immagine di ragazzi che correvano felici in un parco. “Uomini dalla maglia delle ore libere” diceva lo slogan. Era la nascita di quello stile casual, accessibile a  tutti e da tutti desiderato, che lo avrebbe reso molto ricco, famoso, stimato ed invidiato. E che, al tempo stesso, avrebbe permesso ai suoi compatrioti di sentirsi più disinvolti e spensierati mentre si impegnavano quotidianamente nella ricostruzione di una grande economia. Non solo pieni di talento, ma anche belli da vedere, perché in Italia - si sa - l’estetica è elemento essenziale di ogni iniziativa, grazie al Cielo.  

Il 14 agosto 2018, in un’altra orribile giornata di pioggia, il ponte Morandi è crollato per il peso dell’incuria, seppellendo le vite di 43 persone sotto una montagna di macerie. Una strage di  uomini, donne, vecchi e bambini. Chi in vacanza, chi al lavoro, chi al volante solo per attraversare la città senza un vero motivo.

Tra queste due date sono accadute mille cose che hanno radicalmente cambiato il volto del paese. È anche successo che, in virtù della fortuna fatta vendendo maglie, magliette e maglioni, Luciano Benetton diventasse il beneficiario della concessione d’uso delle autostrade, quindi di quel ponte maledetto. Durante il mezzo secolo precedente, l’espansione del suo impero industriale e finanziario non ha conosciuto passi falsi, propiziata nel ventennio di massimo sviluppo da una strategia pubblicitaria superiormente efficace, estremamente inventiva, genialmente semplice. Un solido impianto di segni, immagini e messaggi concepito e realizzato con maestria da Oliviero Toscani, il demiurgo della comunicazione che tante voci autorevoli hanno perfino elevato al rango di grande artista. 

Parallelamente, nel corso degli stessi anni, in Italia come nel resto del mondo si è radicata in modo definitivo la convinzione secondo la quale l’accumulo di ricchezza è  al tempo stesso fine supremo e indice certo della bontà di qualunque impresa umana, sia essa industriale, artistica, sociale o politica. Così, fare è diventato sinonimo indiscusso di fare soldi e fare soldi significa inesorabilmente aver fatto bene. Una fabbrica produce acciaio e tumori? Poco importa, basta che paghi migliaia di stipendi. Un governatore fa affari col cognato? E chi se ne frega, è un bravo amministratore se dà le sovvenzioni agli artigiani. Una banana attaccata al muro con il nastro adesivo è l’opera d’arte dell’anno? Certo, visto che costa 100K. In un tale clima, chi mai avrebbe osato sollevare il dubbio che le maglie Benetton fossero bruttine e di modesta qualità? O che le pubblicità di Toscani fossero piuttosto triviali, volgarmente ammiccanti e comunque lontanissime dal costituire una qualunque forma d’arte? O, ancora, che le strade non dovessero essere un’azienda privata, ma un servizio pubblico?

Poi c’è stata la tragedia. E l’irreversibile brutalità della morte ha portato scompiglio nel paradiso artificiale delle false certezze. Si è sospettato che, per ottimizzare il risultato economico, la società proprietaria delle autostrade risparmiasse sulla  manutenzione ed il restauro delle opere, infischiandosene colpevolmente di tutto tranne della cifra scritta in basso a destra nel bilancio di fine anno. E, quando nella successiva cacofonia di dichiarazioni contrastanti, è capitato che il cantore aziendale di casa Benetton, in preda ad un’irritazione prossima all’isteria, si lasciasse scappare un “Ma a chi interessa che caschi un ponte? Smettiamola!” lo sdegno generale si è scatenato. Condanna per Benetton e sdegno nei confronti di Toscani, anche da parte di coloro i quali, fino a qualche giorno prima, avrebbero venduto i figli a un orco pur di apparire in loro compagnia. Che il dio Denaro si fosse ammalato e non godesse più di ottima salute? 

Finalmente è arrivato il 4 agosto 2020. A Genova si è inaugurato un ponte nuovo, bello e solido, proprio un’opera d’arte e di tecnica. Si chiama Ponte San Giorgio ed il progetto è un dono di quel galantuomo e vero artista che è Renzo Piano. Purtroppo, l’Italia corsa intorno a lui per festeggiare l’avvenimento non è di certo quella del boom. È un paese in ginocchio, debole, disilluso e pieno di paure. I giovani che correvano felici nel parco sono diventati anziani fragili, consapevoli di non aver dato gran prova di sé. Hanno costruito fabbriche di tumori, speso mezza vita a far anticamera per ottenere sovvenzioni di favore, comprato cartoni interi di “maglie delle ore libere” e riempito le proprie case di banane attaccate al muro con lo scotch. E, quando è giunto il momento tanto agognato di godere i frutti di tutti quegli sforzi, un’epidemia vigliacca ha fatto crollare il castello di carte, proprio come la negligenza ha abbattuto i piloni del Ponte Morandi.

Però, questa volta a Genova c’era il sole. È lecito sperare che la storia non si ripeta e i giovani non ne abbiano approfittato per correre in un parco, ma siano andati a vedere quanta sapienza, quanta pazienza, quanto talento, quanto impegno e quanta generosità ci vogliono per fare un bel ponte, anche quando lo si regala e non lo si vende.

 

 

07-08-2020 | 18:16