Se in Parlamento volano gli schiaffi

Domanda: cos’è un Paese normale? È forse quello in cui un parlamentare tira uno schiaffone-pugno-calcio a un altro parlamentare – per giunta donna – e non ha neanche la dignità di dimettersi? No, quello non è un Paese normale. È quello in cui un leader di partito – o come si chiama – chiede sui social network “Cosa fareste in macchina con la presidente della Camera?” e, dopo alcuni rimproveri, continua la sua attività politica indisturbato? No, neanche quello è un Paese normale. È un Paese normale quello in cui tutto, ma proprio tutto, finisce a “curva sud contro curva nord”? Ossia o di qua o di là, senza possibilità di una posizione terza? No, non lo è. 

E allora in un Paese così cos’è la normalità? Forse sarebbe normale che una forza politica in Parlamento possa scendere dagli scranni dell’emiciclo e, mani alzate in segno di protesta pacifica e bavaglio alla bocca, cerchi di fare ostruzionismo a una votazione che ritiene indegna senza che nessuno gridi al ritorno del Fascismo. Altresì sarebbe normale che una presidente della Camera eserciti un suo diritto, al netto delle valutazioni di opportunità, previsto dal regolamento e mandi la votazione senza ricorrere al dibattito e senza essere tacciata, anche lei, di Fascismo.

Ma allora in un Paese dove accade – o non accade – tutto questo perché indignarsi per una seduta un po’ agitata della Camera dei Deputati? Se non viene espulso il deputato picchiatore e non relegato al pubblico ludibrio il leader fomentatore di deficienti su internet,  perché scandalizzarsi per un po’ di grida e qualche coro? Tra l’altro andando a cercare nella cronistoria delle risse parlamentari quella di qualche giorno fa è stata quasi una seduta tra educande. Partendo dai primi anni Cinquanta, anni un cui si arrivò a vedere deputati lanciare cassetti, fino alla storia recente, è stata tutta un’escalation di improperi e volgarità: colluttazioni (tra uomini), pseudo risse, bambole gonfiabili lanciate al cielo, corde con cappio, pernacchie, cori da stadio, mortadelle mangiate e bottiglie di spumante fatte esplodere per gioire di una voto di fiducia andato male. E sempre, perentoria e pungente, arrivava – e arriva – la frase serafica che fa più o meno così: “Nei paesi civili questo cose non succedono…”. È vero, nei paesi civili queste cose non succedono, ma ciò non significa che il confronto parlamentare non sia durissimo e spesso sopra le righe. Nell’immaginario collettivo – e non solo – i cosiddetti paesi civili sono rappresentati in Europa da Inghilterra e Francia – e forse Germania, ma non ancora del tutto, a causa di una storia novecentesca che purtroppo conosciamo (per ora ci limitiamo a elogiarne le dimissioni di ministri che hanno copiato la tesi di laurea).

Tralasciando fattori comuni quali il regicidio e la ghigliottina per i reali, il Regno Unito e la Francia sono due paesi con una forma di stato opposta per antonomasia. In Francia abbiamo La Répubblique, punto di arrivo di una sequenza inaudita di abbattimenti e restaurazioni, tra Borboni, Repubblica, Triumvirato, Impero, di nuovo i Borboni con la Restaurazione, Repubblica, di nuovo Impero, la Comune, a cui seguono altre tre Repubbliche, per cui siamo, dopo una rivoluzione e alcune rivolte di popolo, alla V Répubblique Française – e guai a chi la tocca. Anche nel parlamento francese ci sono stati, e ci sono, momenti di protesta accesa, contro i dettami del protocollo, e non per questo la democrazia parlamentare vacilla. Nel Regno Unito, invece, per fare un velocissimo excursus, la Corona è ancora capo dello stato, ma nel ‘600 è passata per una guerra civile contro Carlo I, iniziata per via di una sua irruzione alla Camera dei Comuni – fatta con l’intento di far arrestare alcuni parlamentari non graditi – e conclusasi con inseguimento, fuga, guerra civile, decapitazione del re, breve repubblica e pacifico ritorno alla monarchia, ma molto riformata e ridimensionata nei poteri: tant’è che lo scettro reale è fisicamente tenuto “in ostaggio” in Parlamento. 

Ecco, il Parlamento inglese, lo stile anglosassone, sempre presi ad esempio in ogni riflessione italiana che si rispetti. Come si comportano i deputati del Parlamento inglese? È sufficiente seguire le dirette o guardare i numerosi video reperibili sul web (vedi sotto) per constatare che il tasso di simulazione del conflitto è enormemente più basso che da noi. Pur non venendo alle mani, e senza sfoderare bottiglie di vino o corde con cappio, se le dicono fuori dai denti in modo molto duro, si ride sovente in faccia all’avversario in segno di scherno, si incita tutti assieme il proprio leader mente parla con uno “yeah!” o si contesta la parte avversa con un “nay!”. Un po’ come al pub quando segna la propria squadra. La stessa forma della Camera dei Comuni è basata sulla contrapposizione frontale: maggioranza e opposizione si guardano in faccia, negli occhi, mentre nell’emiciclo, per forza di cose, ci si vede quasi solo “di sguincio”: distinzione formale che è anche sostanziale. Il codice del confronto all’inglese è chiaramente oppositivo, veloce, i proforma sono ridotti al minimo; ci si colpisce con critiche dirette, il sarcasmo è immancabile e non c’è limite alla risata collettiva, interrompendo l’oratore anche nel mezzo della frase. Tutto questo è moderato dalla figura dello speaker, che siede su uno scranno molto alto alle spalle della parete dell’aula, in modo da vedere alla propria destra e sinistra i due schieramenti. Lo speaker funge anche da filtro, essendo che ogni deputato che prende la parola si rivolge a lui con “Mister Speaker”, ponendosi formalmente come interlocutore: si parla a speaker perché avversario intenda, sviando così la contrapposizione e i possibili eccessi di un confronto diretto. E spesso, anche il povero speaker, entra nello scherno dei relatori. Questo quando si prende la parola, poi tutto può succedere, scontro fisico escluso. Il Regno Unito è anche la patria del teatro moderno, le manifestazioni di assenso/dissenso sono – appunto – molto teatrali, quindi codificate e condivise. Ma in Parlamento le regole sono queste. La vivacità del confronto in stile britannico offre ai cittadini la percezione di quanto la materia che si sta discutendo sia importante, ergo, li riguardi. Serve per stimolare, aumentare l’attenzione di stampa e televisione, per scuotere il più possibile l’opinione pubblica.

Quindi, a differenza nostra, niente indignazione collettiva per un dibattito più acceso del solito, niente conduttori televisivi tirati a lutto, niente accuse di essere fascisti o potenziali stupratori della democrazia: nei cosiddetti paesi civili niente viene strumentalizzato. E non per questo il paese civile diventa incivile, semplicemente è fisiologico che ci possano essere momenti di vita parlamentare molto agitati. Però senza mai arrivare alle mani: questo accade solo nei paesi in via di sviluppo democratico che non possono dirsi democrazie compiute. E da noi, che dobbiamo ancora capire cosa siamo. 

16-02-2014 | 20:13