Se Charlotte Brontë va all'Expo

Ciò che avveniva durante le prime Esposizioni Universali, ossia quelle esibizioni del sapere umano in tutte le sue forme, non poteva non avere ripercussioni sulle menti creative di quegli scrittori e quegli artisti che, come Charlotte Brontë alla gloriosa Great Exhibition di Londra (1851), osservarono un simile spettacolo. Perché proprio di uno “spettacolo” si trattava, e di uno spettacolo totalmente nuovo e innovativo. In mostra a Londra c’erano treni, telegrafi, dagherrotipi, motori a scoppio e cannoni, affiancati da quadri e sculture, stampe, disegni, gioielli e persino il diamante più grande del mondo. E tutto all’interno del Crystal Palace, l’incantevole palazzo di cristallo progettato per l’occasione dall’architetto Joseph Paxton. La mostra, con la sua estrema varietà di invenzioni, strumenti tecnologici e manufatti, divenne un simbolo dell’epoca Vittoriana, e i profitti ricavati servirono per finanziare successivamente il Victoria and Albert Museum, il Science Museum e il Natural History Museum.

Tra le figure che visitarono il palazzo ricordiamo Lewis Carroll, Dickens, Darwin, George Eliot e appunto Charlotte Brontë, la primogenita delle sorelle Brontë e autrice del celebre Jane Eyre. In una lettera, la scrittrice racconta della straordinaria e rutilante esperienza come di qualcosa di “vasto, strano, nuovo e impossibile da descrivere”, sottolineando come l’impatto dirompente fu causato proprio dai caratteri di rottura e novità per cui una descrizione “verbale” si sarebbe dimostrata insufficiente:

“Ieri sono stata per la seconda volta al Crystal Palace. È un luogo meraviglioso – vasto, strano, nuovo e impossibile da descrivere. La sua magnifica grandezza non consiste nelle singole cose, ma nell’irripetibile accorpamento di tutte le cose insieme. Qualsiasi oggetto che sia mai stato creato dall’industria umana è lì, dai grandi padiglioni zeppi di motori ferroviari e caldaie, i macchinari industriali in piena funzione, gli splendidi mezzi di trasporto di tutti i tipi, ogni varietà di finimenti, fino ai banconi di vetro, o rivestiti di velluto, ricoperti dei più bei lavori di oreficeria e argenteria, e gli scrigni, gelosamente custoditi, pieni di veri diamanti e perle del valore di centinaia di migliaia di sterline. Potrebbe essere definito come un bazar o una fiera, ma si tratta di un bazar o di una fiera come quelli che potrebbero essere creati da creature orientali ultraterrene. Come se solo la magia potesse aver raggruppato una tale quantità di ricchezze da tutte le parti del mondo – come se solo una mano soprannaturale potesse aver sistemato tutto ciò, con un incendio e un contrasto di colori e un meraviglioso potere di effetto. La moltitudine che riempie le grandi corsie sembra regolata e manovrata da una qualche forza invisibile. Tra le trentamila anime che erano all’esposizione quel giorno, non era possibile sentire alcun rumore troppo forte, né vedere alcun movimento irregolare; il flusso umano scorreva placidamente, producendo un basso mormorio come quello udibile, in lontananza, provenire dal mare”.

Oltre ai sopraccitati concetti di novità e rottura, il testo riassume molti dei concetti che sembrano farsi anello di congiunzione tra la mostra e i temi e/o le tecniche rintracciabili nell’opera della scrittrice: unità/molteplicità (non “nelle singole cose” ma “un irripetibile accorpamento di tutte le cose insieme”); la relazione tra tecnologia e “umanità” implicita nell’espressione “industria umana”; la “disposizione” dello spazio museale secondo un “incendio e contrasto di colori” che creava un “meraviglioso potere di effetto”. Oltre a ciò, Brontë sottolinea l’aspetto “soprannaturale” e magico percepito durante la visita, il quale sembra ricollegarsi direttamente al suo successivo trattamento del soprannaturale, in connessione con il variegato rapporto tra realtà e immaginazione, e tra realtà e “ricreazione” artistico-visiva. Tali concetti, inoltre, si collegano alle tecniche descrittive che l’autrice utilizza nel suo processo di ricreare sia la realtà esterna sia la realtà delle immagini mentali (fantastiche o ancorate al dato reale). In quest’ottica, è opportuno ricordare che uno degli strumenti in mostra alla Great Exhibition del 1851 era il dagherrotipo (il primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini non riproducibili), uno strumento che a quel tempo causò una vera e propria rivoluzione percettiva, e che Brontë cita spesso nelle sue lettere e nei romanzi, trasformandolo finanche in verbo:

"E quando riuscì a sollevare lo sguardo, lo fece, e poco dietro di lei c’era proprio Robert. Sorrideva per il candore di lei, e lei non lo aveva mai visto di così bell’aspetto – sembrava proprio, ai suoi occhi parziali, talmente bello che non si arrischiò a guardarlo un’altra volta; poiché la sua immagine la colpì, nella sua visione, con una lucentezza dolorosa, e si riprodusse nella sua memoria così vividamente come se fosse lì riprodotta al dagherrotipo (“daguerrotyped”) con una matita di tagliente luce brillante (Shirley)".

Il brano, del 1849 e dunque antecedente alla mostra, rivela l’attenzione dell’autrice verso lo strumento, il quale si fa simbolo del suo interesse per la ricreazione di immagini nella memoria e nell’immaginazione e, soprattutto, sulla pagina. Il processo della creazione di immagini memoriali, così come il passo suggerisce, sembra essere un processo di “autoalimentazione” e “autoriproduzione” delle immagini stesse (“l’immagine… si riprodusse nella sua memoria”) e suggerisce una feconda connessione tra le possibilità cognitive e quelle tecnologiche offerte dal nuovo mezzo, così come in altri brani:

“Caroline vide una forma, una testa, che, fotografata (“daguerrotyped”) in quell’atteggiamento e con quella espressione, sarebbe stata adorabile. Non aveva scelta, e lo spettacolo poteva solo darle conferme per le sue speranze”.

L’immagine ripetuta del dagherrotipo dimostra l’estrema attenzione di Brontë per la riproduzione fotografica della realtà, una riproduzione, artistica e tecnologica insieme, che rischia, già a metà dell’ottocento, di diventare più “reale” e veritiera della “reale” presenza fisica delle persone.

01-02-2014 | 18:21