Questa è l'arte, bellezza!

Se Hegel ha potuto affermare che il reale è razionale, è solo perché non ha mai messo i piedi in un’asta d’arte contemporanea.

Durante le tornate autunnali di Londra, che tradizionalmente danno il la della stagione a venire, si è potuto assistere ad uno spettacolo senza dubbio sfavillante, ma animato dal raziocinio quanto lo può essere la monta di un toro. Sotto la spinta di quello che i cronisti con le bretelle chiamano appunto un “bullish trend” (cioè una tendenza rialzista - l’interpretazione dei doppi sensi spetta ai freudiani di mestiere), diversi collezionisti si sono affrettati a vendere le opere firmate da giovani e giovanissimi artisti, prima ancora di avere imparato a pronunciarne correttamente il nome. Altri, desiderosi di lavare l’onta che gravava su di loro  per non essere stati i primi a comprare, hanno azzannato le prede con voracità vendicativa, facendone ulteriormente lievitare i prezzi in modo vertiginoso.

Così, ad esempio, si è visto un dipinto del 2013 di  Korakrit Arunanondchai, pittore thailandese nato nel 1986, aggiudicato da Christie’s a 150.000 dollari. Certo, si potrebbe disquisire a lungo sulla qualità del lavoro nel tentativo di giustificare la somma. Ma, al di là del fatto che questo giovanotto estroverso, dalla pettinatura sapientemente disordinata e molto newyorkese, altro non crea se non un fritto misto di action painting, riscaldato in salsa Support-Surface e condito con un tocco insipido di performance, resta comunque il legittimo dubbio che, a ventisette anni, egli non avesse ancora la maturità per partorire un capolavoro degno di costare come un bel disegno di Chagall.

Il giorno precedente, la stessa casa d’aste ha venduto, a una signora raggiante anche se leggermente sfigurata dal botox, una tela di Lynette Yiadom – Boakye del 2011 per 690.000 $. Yiadom – Boakye, londinese di genitori ghanesi, nata nel 1977, è un’ artista lanciata da Charles Saatchi alcuni anni or sono, portata alla ribalta da Massimiliano Gioni alla Biennale di Venezia ed oggi oggetto delle amorevoli cure di grandi gallerie come la Jack  Shainman Gallery. Ispirata all’opera di Degas, la sua pittura è un intruglio di impressionismo e naturalismo dal gusto retrò, non particolarmente originale, ma immediatamente riconoscibile grazie alla scelta di rappresentare esclusivamente soggetti di origini africane.  Il problema nasce quando si considera che il grazioso ritratto di giovane donna in piedi è stato aggiudicato per una somma pari a undici volte il costo di una bellissima Santa Prassede dipinta da Giovanni Lanfranco intorno al 1620 e venduta dai rivali di Sotheby’s il 29 aprile di quest’anno per 62.000 $.

Nel corso della medesima seduta, poi, la compulsione all’acquisto ha raggiunto una vetta con l’aggiudicazione di un quadro del 2008 di Jonas Wood (fig.1), nato nel 1977, all’inverosimile cifra di 840.000 $. Reso massimamente desiderabile dalla sua appartenenza alla scuderia Gagosian, il lavoro di Wood è un astuto pastiche della pittura di Matisse realizzato da un fan di Hockney. Ne risultano dei gradevoli pannelli decorativi di grandi dimensioni, ideali per fare pendant con i divani pastello nei saloni delle ville di  Beverly Hills. Ma, quale che sia il giudizio critico sulla sua opera, il dato di fatto è che il mercato la valuta molto di più di quella di un maestro del passato come Füssli, le cui Streghe che appaiono a Macbeth (fig.2) sono state vendute per 377.000 $ sempre da Christie’s nel gennaio di quest’anno, ed anche di quella di un caposcuola del dopoguerra come Sol LeWitt, il cui record in asta si ferma a  750.000 $.

Per concludere la rapida descrizione di questa frenetica corsa all’oro under 40, ecco una serie di nomi e cifre che, a rischio di diventare tediosi, non possono non essere citati.  

Il 14 ottobre da Phillips un lavoro del 2010 di Danh Vo (fig.3), nato nel 1975, ha trovato acquirente per 930.000 $, mentre un’ opera di Cory Arcangel, nato nel 1978, veniva venduta a 243.000 $.

Da Sotheby’s, il 16 ottobre, un multiplo a sei esemplari di Idris Khan, nato nel 1978, aggiudicato per 115.000 $ ed il giorno precedente un dipinto di Ella Kruglyanskaya, anche lei nata nel 1978, venduto a 125.000 $.

Da Christie’s, il 16 ottobre, un quadro di Adian Ghenie, nato nel 1977, è stato acquistato per 690.000 $, cioè il doppio del prezzo pagato nel gennaio di quest’anno per un notevole volto di Cristo dipinto da Guido Reni nel 1634. Nella stessa asta una pittura di Oscar Murillo (fig.4), nato nel 1986, è partita a 375.000 $ e un dittico di Alex Israel (fog.5), modesto copista di Ettore Spalletti nato nel 1982, a 153.000 $.

Si possono immaginare le risate degli avveduti conoscitori che, il 28 gennaio 2015, spendendo gli stessi soldi si sono portati a casa rispettivamente un olio su tavola di Pontormo e una deliziosa tela di Pietro Longhi. Ma la constatazione del ridicolo non ne spiega le ragioni. Per capire cosa diavolo stia succedendo al mercato dell’arte è necessario fare  alcune considerazioni che vadano oltre lo stupore  e la facile ironia.

Innanzitutto bisogna sapere che da un’abbondante decina d’anni gli attori in scena sono cambiati. Banche, istituzioni finanziarie e speculatori vari hanno deciso di occupare tutto lo spazio disponibile in un settore giudicato abbastanza florido da risultare appetibile. Così, si sono presi i ruoli da protagonisti, rimpiazzando progressivamente i collezionisti, talvolta anche molto facoltosi, che oggi si adattano colpevolmente a recitare da comprimari e seguono il nuovo copione senza troppe remore. Come conseguenza immediata di questo avvicendamento, in un lampo, quello che era amore per l’arte sostenuto dal denaro si è trasformato in sfrenata bramosia di denaro poggiata su un simulacro d’arte.

Questo ha implicato l’apparizione di personaggi, per i quali la differenza tra Picasso e Matisse sta nel fatto che il primo è un modello di utilitaria mentre l’altro è il più carino degli Aristogatti, incaricati di commercializzare ogni giorno prodotti artistici solo nominalmente nuovi, realizzati con la più immateriale e la meno costosa delle materie prime, vale a dire la speranza. E’ proprio grazie a loro se la new economy dell’arte sforna senza requie futuri Van Gogh, il cui unico valore risiede appunto in quell’aggettivo “futuri” che permette di intravedere grandi margini di guadagno. Ovviamente, ogni analogia con la funesta vicenda dei “futures” venduti nelle borse valori non è per nulla casuale.

E altrettanto ovviamente, il corollario indispensabile per la riuscita dell’ operazione consiste nella massiccia diffusione dell’amnesia. In effetti, il gioco può riuscire solo a condizione di concentrarsi esclusivamente sull’aspettativa e cancellare la memoria. Questo è il passaggio inevitabile per consentire a citazionisti sbiaditi, fotocopisti mediocri e falsari modaioli di evitare il confronto con gli originali e  passare così per formidabili inventori o novatori torturati. Alcuni grandi mistificatori professionisti si occupano di questa parte del lavoro attraverso le kermesses internazionali, nelle quali la propaganda ha preso il posto della teoria. Nati ogni anno come funghi dalle piogge d’agosto, essicati per qualche mese al sole di una galleria ben in luce, verso i primi di giugno i “trendy boys” dell’ “international taste” sono pronti per essere mescolati al gran risotto di una Biennale o una Documenta prima di essere mangiati alle aste di ottobre. Ormai, il massimo della memoria accettabile è un paio d’anni, a tal punto che da tempo si vocifera di un prossimo ritiro di Christie’s dal mercato dell’arte antica e di un ridimensionamento del suo dipartimento di arte moderna.

Tutto ciò ha fatto in modo che oggi una sala d’aste assomigli sempre di più ad una sala  corse nella quale vincono solo ed inevitabilmente gli allibratori. Ciò che viene venduto e comprato è una scommessa, basata non tanto sulla destrezza del fantino o la bellezza, la forza e la resistenza del cavallo, quanto sull’ eventualità che esso si aggiudichi il premio in palio, in virtù delle sole leggi del caso, unicamente grazie al fatto di partecipare alla corsa.  A questo punto si potrebbero perfino immaginare aste prive di opere, giusto biglietti della lotteria per i quali battersi a colpi di milioni, senza bisogno di sapere chi fa cosa e perché. Il che ridurrebbe di gran lunga anche i costi di catalogazione, assicurazione, esposizione, trasporto e stockaggio.

E, a proposito di cavalli, è di queste ore la notizia dell’ingresso sulla scena del mercato dell’arte di Blue Rider (Il Cavaliere Azzurro), branca della gigantesca Morgan Stanley, concepita appositamente per  “fornire servizi finanziari, operare acquisti e vendite sul mercato privato e delle aste pubbliche, gestire collezioni” rivolgendosi  “alla comunità internazionale dell’arte”. Con buona pace di Kandinsky e Franz Marc.

Sono passati quasi due secoli dall’epoca in cui Hegel scriveva che “l’arte è la manifestazione sensibile della verità “, di certo due secoli di sviluppo inninterrotto, forse non due secoli di solo progresso.  Ma non è il caso di abbattersi, fra pochi giorni cominciano le aste di New York.  I ragazzi di François Pinault, il grigio ragioniere bretone che ha fatto fortuna con i cataloghi di vendita per corrispondenza e si è comprato Christie’s, stanno già leccandosi i baffi. Poco ma sicuro, si scorderanno ancora una volta di invitare Hegel.

 

 

31-10-2015 | 15:33