Quando la Storia diventa dramma

La Storia è un fiume con infiniti affluenti. Ogni individuo, un rivolo che ne alimenta la corrente. Ogni scelta, ogni gesto, anche il più ordinario ed insignificante, una goccia di pioggia che ne ingrossa il corso. Ruscelli e gocce non si curano della portata del fiume. Semplicemente si sommano, in modo automatico, fino a provocarne la piena. E, quando gli argini crollano sotto l’impeto dell’ondata, la catastrofe non si può più evitare. Acqua e fango travolgono ogni cosa. Allora, gli errori di ciascuno ricadono sulle spalle di tutti. La Storia diventa il dramma di ognuno.

Se lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale è indiscutibilmente l’effetto del delirio di onnipotenza del Führer, non si può ignorare che la grande maggioranza dei suoi bellicosi compatrioti l’abbia fortemente voluto. Altrettanto evidente è il fatto che, durante vent’anni di pace marcati da politiche dissennate, problemi irrisolti, interessi settari, ambizioni smisurate, paure mai placate e rancori mai sopiti, molti altri attori abbiano contribuito a rendere possibile il disastro. Italiani, Spagnoli e Portoghesi hanno consegnato le proprie sorti nelle mani di dittatori sanguinari, assicurando loro un sostegno entusiasta, quasi unanime. In Russia, la lotta condotta dai rivoluzionari per l’uguaglianza e la libertà è stata progressivamente snaturata e tradotta in uno dei regimi più crudelmente oppressivi che il mondo ricordi. I popoli dei paesi dell’est e dei Balcani si sono indeboliti vieppiù, aggravando l’arretratezza delle proprie condizioni con i continui contrasti tra gruppi etnici diversi, fino a diventare facile preda del totalitarismo. Gli Scandinavi hanno cullato il sogno di essere estranei  alle vicende europee o hanno scelto la via della neutralità e non si sono mai preparati ad affrontare la bufera in arrivo. L’Inghilterra di Chamberlain e la Francia di Daladier non hanno voluto vedere le reali dimensioni della minaccia e non hanno saputo porvi rimedio per tempo, quando ancora potevano. Gli Stati Uniti, preoccupati dai problemi interni di natura economica, hanno deciso di restare alla finestra e osservare, nella speranza che l’oceano sarebbe stato abbastanza grande da tenere lontano il conflitto.       

In realtà, quello che un’illusione retrospettiva chiama determinismo storico, si rivela non essere altro se non la somma di libere scelte, individuali o collettive. Ed un riassunto approssimativo, che imputasse le colpe della catastrofe solamente a pochi protagonisti, nasconderebbe il fatto che i loro gesti siano stati gli ultimi anelli di una smisurata catena causale, costituita dalle azioni e dalle omissioni di molte comparse. Così, se la Storia ricorda giustamente Hitler e Mussolini come i responsabili della guerra e dell’Olocausto, resta comunque vero che nella loro ombra hanno operato milioni di complici senza nome, nazisti e fascisti, e milioni di favoreggiatori, simpatizzanti, pavidi o semplicemente indifferenti. Una moltitudine di colpevoli, il cui anonimato non potrà mai essere considerato sinonimo d’innocenza.                                                                     

Per l’Imbianchino gli ultimi mesi del 1939 sono segnati dai successi in battaglia. Già il 22 settembre, le truppe del Reich sfilano nelle strade di Brest-Litovsk in una comune parata trionfale con le divisioni dell’Armata Rossa giunte da est. La spartizione della Polonia tra la croce uncinata e la falce ed il martello è cosa fatta. L’invasione viene portata a termine in meno di trenta giorni con la presa di Varsavia che, il 28 settembre, cade nelle mani dei nazisti comandati dal generale Blaskowitz. Quattro settimane di combattimenti durante i quali perdono la vita oltre centomila soldati polacchi ed un numero imprecisato, ma estremamente ingente, di civili.           

Forte di questo risultato, il Führer dà ordine alla Wehrmacht di preparare l' occupazione di Belgio, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Parallelamente, incarica Adolf Eichmann di organizzare la deportazione degli Ebrei dall’Austria e dalla Cecoslovacchia verso la Polonia, della quale ha nominato governatore il proprio legale, Hans Frank. A lui impartisce due compiti essenziali: sterminare gli Ebrei ed eliminare le élitesintellettuali, politiche ed economiche del paese. Con il massimo zelo, l’avvocato Frank fa arrestare e giustiziare centinaia di professori universitari, scrittori, giornalisti e uomini d’affari, mentre rende operativi i campi di Auschwitz – Birkenau, Majdanek, Treblinka, Chelmno, Belzec e Sobibòr. Inoltre, prende cura di ammassare il maggior numero possibile di Ebrei nei ghetti della capitale e di Lodz, dopo averli ermeticamente isolati dal resto delle due città. Ennesima conferma del fatto che il buon esercizio dell’avvocatura richiede molta più devozione agli interessi del cliente che fedeltà all’ideale di giustizia.

Felka vive questi giorni drammatici nell’ansia di ogni istante. I suoi genitori sono a Varsavia e la totale mancanza di informazioni sulla loro sorte la sprofonda in un vortice quotidiano di supposizioni ed attese vane. Al tempo stesso, trema ogni qual volta un rumore di passi risuona nella tromba delle scale, perchè già vede il postino, con in mano il telegramma che le annuncerà il peggio. Felix vorrebbe consolarla, ma riesce solamente a ripetere “niente nuove, buone nuove”. In fondo, anche lui non crede più di tanto all’arrivo di notizie rassicuranti. Anzi, la facilità con la quale i nazisti hanno preso la Polonia lo ha convinto che le SS si presenteranno alla porta fra pochi mesi, forse poche settimane. E dire che, appena un anno prima, Bruxelles sembrava un rifugio sicuro. Mentre adesso è una città sul bordo del vulcano. Esattamente come Amsterdam, dove si trovano Justus, suo padre e sua madre.                                 Ora Felix se ne rende conto: c’è una grossa differenza tra fuggire e nascondersi. La stessa che separa la speranza dalla paura. Ed impercettibilmente, ma inesorabilmente, lui e Felka stanno cominciando a sperimentarla. Sentono crescere in loro il bisogno di scomparire, come un istinto animale. Vorrebbero evitare gli sguardi della gente, diventare invisibili, svanire. Così, si rinchiudono in casa, limitano le uscite allo stretto necessario per fare qualche compera e gli incontri a quelle rare occasioni in cui un cliente potrebbe ordinare un lavoro. Anche tra loro parlano poco, a voce bassa, quasi per non attirare l’attenzione di chicchessia. È diventato difficile aprirsi, perfino alla persona più amata, perché la paura è un peso che si porta da soli, inconfessabile. 

Quanto a Charlotte, i primi mesi di permanenza a Villefranche-sur-mer le sembrano anni. Certo, la primavera e l’estate della Costa Azzurra sono stagioni che a Berlino non si potevano nemmeno immaginare. La luce dorata del sole e l’azzurro cristallino del cielo creano l’impressione di abitare in un quadro di VanGogh e l’aria calda del pomeriggio fa vibrare i contorni delle cose, come se le avesse dipinte Cezanne. Certo, la villa di Ottilie Moore, l’Ermitage, è un luogo incantato e nel suo giardino giocano felici gli orfanelli ai quali la signora ha dato alloggio. A tratti, la loro allegria è contagiosa. Ridono, scherzano, corrono e si rincorrono, schiamazzando per giornate intere. Certo, la padrona di casa è una donna di cuore, molto intelligente. Le lunghe conversazioni con lei e con il suo amico, il dottor Moridis, sono estremamente piacevoli, spesso anche istruttive. Ma, la mancanza di Alfred è una sofferenza costante, una ferita aperta che fa male dal momento del risveglio fino all’ora di andare a dormire. Da quando è arrivata, Charlotte non ha ricevuto nemmeno un biglietto da parte sua. Nemmeno poche righe, due parole per dirle qualcosa di rassicurante, una frase gentile, un bacio. Niente. Solo un inspiegabile silenzio, che giustifica i pensieri più bui, le fantasie più angosciose.                                                                                       

Le uniche buone notizie ad averla raggiunta sono quelle inviate dal padre e da Paula. La lettera, spedita da Amsterdam verso la metà di agosto, dice che i suoi cari sono riusciti ad espatriare grazie ai documenti comprati nell’ufficio di un funzionario, decisamente più devoto al proprio conto in banca di quanto non lo fosse al proprioFührer. Che nel quartiere di Jodenbuurt ci sono molti altri esuli in provenienza dai quattro angoli della Germania e che, finalmente, la speranza di abbracciarla presto è diventata più concreta.                                                                                                             Charlotte non ha avuto nemmeno il tempo di rallegrarsene. I titoli dei giornali sullo scoppio della guerra hanno gettato la nonna in uno stato di depressione profonda. Parla raramente, non mangia altro che qualche biscotto con un thé e fissa il vuoto per ore, seduta su una poltrona nell’angolo del salotto. Le poche frasi, scandite come una litania funebre, sono per lamentarsi della maledizione che incombe sugli Ebrei, sulla sua famiglia e, in particolare, sulle donne della famiglia. 

Tutto ciò provoca la furia di suo marito. Il nonno è scorbutico, autoritario, pestifero. Ma, non è stato sempre così. Era un medico scrupoloso e bonario, un uomo dolce, attento ai desideri dei suoi familiari, uno sposo gentile ed appassionato. Poi, il suicidio della figlia minore gli ha strappato il cuore dal petto e quello di Franziska glielo ha sepolto sotto una montagna di sassi. Ha perso irrimediabilmente il gusto della vita, si è indurito e si è rinchiuso in sé stesso, come per stare più vicino a quel dolore indicibile. Ora trascina la propria esistenza quasi fosse un modo per espiare le colpe, un dovere fastidioso, reso ancora più sgradevole dalla presenza di altre persone intorno a lui. Dà ordini in continuazione, a chiunque. A sua nipote, a sua moglie Marianne, ai bambini del giardino, perfino alla signora Moore. E, in continuazione, protesta perché non vengono eseguiti.  

Il dottor Moridis ha prescritto dei calmanti alla signora Grünwald, raccomandando di non lasciarla mai sola. Inoltre, ha suggerito a Charlotte di portare lei ed il dottor Grünwald altrove, almeno per un po’, perché un cambiamento della routine quotidiana, forse, si sarebbe rivelato benefico per tutti. È così che, uno degli ultimi giorni di novembre, Charlotte ed i nonni traslocano a Nizza, al numero 2 di Boulevard Neuscheller, in una casa chiamata Villa Eugénie. 

30 novembre 1939

L’Armata Rossa invade la Finlandia. L’URSS ha la certezza che, in virtù dell’ accordo Molotov-Ribbentrop, il Reich non interverrà e scatena la Guerra d’Inverno per ampliare i propri confini a nord-ovest.   

Dicembre 1939

La Wehrmacht prende posizione sulla Linea Sigfrido, lungo il confine occidentale. Dall’altra parte della frontiera, le truppe alleate si ammassano a ridosso della Linea Maginot, il complesso di fortificazioni armate predisposto a difesa del territorio francese. Ad eccezione di qualche sporadica scaramuccia, gli eserciti si fronteggiano senza lanciare alcun attacco contro il nemico. È quella che passerà alla storia come la “Drôle de Guerre”.

Primi giorni di gennaio 1940

Il miglioramento sperato dal dottor Moridis non si è avverato. La signora Grünwald tenta di suicidarsi impiccandosi con la sciarpa alla finestra del bagno. Charlotte ed il nonno riescono a salvarla in extremis. Ormai è chiaro che la nonna non ha più nessun desiderio di vivere. Non si alza dal letto, non parla, rifiuta il cibo ed è necessario sorvegliarla senza interruzione. Charlotte trascorre le giornate al suo capezzale ed inganna il tempo realizzando numerosi ritratti del  suo volto.

10 gennaio 1940

Un aereo da ricognizione della Luftwaffe è costretto da un’avaria all’atterraggio di fortuna in territorio belga, non lontano da Mechelen, nel Limburgo. A bordo, oltre al pilota, c’è il maggiore Reinberger che porta con sé i piani per l’invasione dei Paesi Bassi, il cui inizio è previsto il 17 gennaio. Malgrado il tentativo di distruggerli, i documenti cadono nelle mani dei servizi segreti belgi che li trasmettono il giorno stesso ai colleghi inglesi e francesi. L’Imbianchino ed i suoi cani da guardia dello stato maggiore decidono di cambiare radicalmente strategia. Quindi, rinviano l’ operazione ad una data successiva. L’incidente avrà conseguenze disastrose per il Belgio e la Francia che non adatteranno il proprio sistema di difesa ai nuovi piani d’attacco tedeschi.

7 febbraio 1940   

È passato un anno giorno per giorno da quando Felix ha esposto per l’ultima volta i suoi dipinti. La mostra era stata organizzata dall’amico scultore Dolf Ledel al Club 38 di Bruxelles, un circolo di socialisti aderenti al Partito dei Lavoratori. Ora, i quadri sono riposti faccia al muro in un angolo dello studio. E a Felix sembra che sia passato un secolo. Sul suo cavalletto c’è una tela appena terminata. Si intitola “Il rifugiato”. Dentro uno stanzone disadorno, un uomo accovacciato su uno sgabello si tiene la testa tra le mani in un gesto di disperazione. Al suo fianco un bastone da passeggio di povere fattezze. Il centro del dipinto è occupato da un mappamondo posato su un tavolaccio. L’emisfero rivolto verso lo spettatore del quadro è quello dell’Europa. Dalla porta che si apre sulla sinistra della stanza, si intravedono due alberi secchi nel mezzo di un paesaggio deserto.

8 marzo 1940 

Si celebra il funerale di Marianne Grünwald, nata Benda. La nonna di Charlotte si è tolta la vita gettandosi dalla finestra nel cuore della notte, mentre il marito e la nipote dormivano. Alla cerimonia partecipano anche la signora Moore, che ha voluto assolutamente farsi carico delle spese, il dottor Moridis, che si è occupato di tutte le pratiche amministrative, e tanti dei piccoli ospiti dell’Ermitage, stretti con grande affetto intorno a Charlotte. 

10 marzo 1940  

Dopo quarantott’ore trascorse in assoluto silenzio nella sua stanza, il nonno esplode in una violenta crisi di nervi di cui è vittima proprio Charlotte. La strattona per un braccio e la costringe con la forza a sedersi di fronte a lui. Poi, inizia ad inveire. Le imputa di essere venuta meno al dovere di sorvegliare la nonna e, quindi, di essere la causa della sua morte. Mentre la nipote piange a dirotto, furibondo maledice le donne della famiglia, le accusa di essere tutte pazze. E, urlando come per alleviare il dolore, apre finalmente quel vaso di Pandora che per anni ha tenuto nascosto alla ragazza. “Mia suocera si è suicidata, poi la più piccola delle nostre figlie, Charlotte, quella della quale tu porti il nome, e poi ancora la più grande, tua madre Franziska, e ora lei, mia moglie. Adesso te lo posso dire, tua madre si è buttata dalla finestra, altro che influenza. E, come tutte le altre, si è data la morte per rovinarmi la vita. Resti solo tu, pazza come loro. Ammazzati anche tu e che sia finita”. 

Charlotte ha un sussulto di animale ferito. Con violenza spinge via il vecchio uomo stravolto ed esce di casa lasciando la porta aperta. Corre a rompicollo lungo Boulevard Neuscheller, verso la Promenade des Anglais, fino a quando è costretta a fermarsi, senza respiro. Il mondo le è crollato addosso. Tutt’intero. Tutto in una sola volta. Non piange più. Entra in un caffè, si siede in disparte e ordina un crèmecon un pain au raisin.È stordita, come se avesse preso un colpo sulla testa. I pensieri e le immagini si accavallano in un garbuglio soffocante. Forse si tratta di un incubo. Poi, un’idea si fa più insistente, prende il sopravvento sulle altre: e se tutto quello che sta vivendo non fosse che una piècedi teatro? Una commedia, grottesca e nerissima, messa in scena solo per confonderle le idee. Ma, da chi? Forse, proprio da lei stessa. Forse, è pazza davvero, come dice il nonno. Ancora una volta è la pittura che viene a salvarla. Inizia a pensare che potrebbere dipingere tutte le scene della propria vita. Immagina le figure, fantastica sui colori. Si lascia andare e si perde nel sogno ad occhi aperti di una lunga serie di acquerelli in cui si presenteranno tutti i personaggi della commedia. Mamma, papà, Alfred, Paula, i nonni. Il café crèmeormai è freddo. Charlotte si alza e se ne va. Cammina sul lungomare senza una meta e, di tanto in tanto, si volta per controllare che il corteo dei suoi fantasmi la stia seguendo. 

3 aprile 1940 

Le truppe sovietiche danno inizio al massacro dei prigionieri polacchi che si concluderà solo il 19 maggio. Su proposta di Berija, Stalin ha ordinato che siano giustiziate oltre ventimila persone tra militari e civili. Le fucilazioni di massa hanno luogo nottetempo. I corpi delle vittime vengono sepolti in fosse comuni nella foresta di Katyn, non lontano da Smolensk.

9 aprile 1940

I nazisti invadono la Danimarca. La resistenza dell’esercito danese dura nove ore. Già nel primo pomeriggio, re Cristiano X firma l’atto di resa.

10 aprile 1940

Le truppe tedesche invadono la Norvegia. Reparti di paracadutisti vengono lanciati in varie zone del paese. Intere divisioni di fanteria sbarcano sulle coste. La Lutwaffe martella le postazioni difensive con bombardamenti incessanti e le navi da guerra del Reich prendono il controllo dei porti a sud-est della penisola.

13 aprile 1940

La Finlandia firma il trattato di pace con il quale cede un’ampia porzione del proprio territorio all’URSS.

30 aprile 1940

Il contingente norvegese impegnato sul fronte meridionale depone le armi e si arrende alla Wehrmacht.

10 maggio 1940

L’Imbianchino sferra l’attacco contro Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Francia. Alla fine della prima giornata di combattimenti, i nazisti sono già alla periferia di Liegi. La Guerra Lampo è iniziata. 

11 maggio 1940

Due poliziotti belgi si presentano a casa di Felix e Felka con un mandato di arresto destinato al “signor Nussbaum, in quanto cittadino tedesco e straniero nemico”.     “Ma, il nostro nemico è Hitler” è l’inutile protesta di Felix. I due funzionari lo  incalzano perché li segua alla svelta. Felka ha giusto il tempo di dargli una borsa con un cambio di biancheria ed un pezzo di sapone. Lo abbraccia sul pianerottolo, poi lo segue lungo le scale, fino in strada. “Ma dove lo portate?” chiede con quel poco di voce che le resta in gola. I poliziotti non rispondono, spingono Felix dentro l’ automobile e partono immediatamente. La sera stessa, viene caricato in un carro merci con molti altri prigionieri. Il treno è diretto al campo di internamento di Saint-Cyprien, sulla costa francese, vicino a Perpignan.

13 maggio 1940

La regina Guglielmina ed i membri del governo olandese fuggono a Londra.

15 maggio 1940

La Wehrmacht entra ad Amsterdam. L’Olanda firma l’atto di capitolazione. 

17 maggio 1940

I nazisti occupano Bruxelles senza combattere. Il governo belga si è ritirato a Ostenda e l’esercito ha ripiegato sulla testa di ponte di Ghent, lasciando aperte le porte della capitale. 

25 maggio 1940

Le truppe del Reich sono entrate in Francia attraverso le Ardenne e hanno occupato Amiens e Arras. A nord, Anversa è caduta alcuni giorni prima. Gli alleati sono accerchiati e costretti a ritirarsi a Dunkerque, da dove riescono miracolosamente ad evacuare oltre trecentomila soldati verso le coste inglesi. Nei giorni immediatamente successivi, i Tedeschi prendono Calais e Lille. Parigi non è più lontana.

28 maggio 1940

Il Belgio firma la resa. Re Leopoldo III viene arrestato e confinato nel castello di Laeken.

10 giugno 1940

Mussolini dichiara guerra a Francia ed Inghilterra.

La Norvegia si arrende al Reich. Re Haakon ed il suo governo si rifugiano a Londra.

12 giugno 1940

Nonostante tutti sappiano che sono dei profughi, anche in Francia i residenti tedeschi vengono considerati “potenzialmente ostili” e, di conseguenza, deportati nei campi di internamento. Charlotte e suo nonno non fanno eccezione. La polizia francese li carica di primo mattino su un treno diretto a Gurs, nei Pirenei Atlantici. Come Saint - Cyprien, il sito di Gurs è uno di quelli che il governo di Parigi ha predisposto l’anno precedente per concentrare i transfughi della guerra di Spagna. All’ingresso del campo, uomini e donne vengono divisi in due file e diretti verso le baracche rispettive. In una di esse si trova già da una decina di giorni Hannah Arendt, che è stata arrestata a Parigi. Il tentativo di Charlotte di non separarsi dal nonno è immediatamente vanificato da un caporale senegalese che le punta il manganello sul petto e la obbliga a rientrare nei ranghi. È lo stesso uomo che, durante le notti successive, farà la ronda intorno alla baracca. La stessa bestia che, con regolarità atroce, entrerà ogni notte per scegliere la vittima delle sue voglie.  

16 giugno 1940 

Il prigioniero Felix Nussbaum viene trasferito al campo di Gurs. È la terza volta che la sua strada e quella di Charlotte si incrociano. 

……continua

 

 

26-01-2020 | 23:41