Quando a Foreman apparve Cristo

Lorenzo Longagnani

Tutti sanno cosa accadde il 30 Ottobre 1974 a Kinshasa, capitale dello Zaire, quando Mohammed Alì riconquistò il titolo mondiale dei pesi massimi atterrando all’ottava ripresa, di un match divenuto epico, il possente Geroge Foreman, colui che fino a quell’incontro evocava terrore sportivo ed era considerato una belva invincibile. Tutti conoscono quella storia.

Meno noto ai più, invece, è come quella sconfitta influenzò la carriera e la vita dell’ex re della Boxe. Il K.O. africano infatti, tanto inatteso quanto fragoroso, provocò una significativa frattura nell’animo del pugile texano, minandone l’autostima e le convinzioni professionali fino a quel momento ritenute solidissime.

George Foreman nasce a Houston, in Texas, nel 1949. In uno stato in cui ancora oggi l’odio razziale è radicato ed accorato: George vive un’infanzia durissima e in assoluta povertà. Tuttavia è più fortunato di tanti altri suoi coetanei in quanto, grazie ad un programma governativo in cui viene inserito, deve svolgere lavori socialmente utili per stare alla larga dalle risse di strada e dalle ben poco lungimiranti aspettative che la gang di cui faceva parte poteva riservargli. Proprio quelle scazzottate di strada, in cui si era distinto beneficiando di un’indole aggressiva e di una corporatura impressionante nel suo metro e novanta di minacciosi muscoli, lo portano a essere notato da alcuni addetti ai lavori che gli propongono di entrare in una palestra di pugilato, luogo in cui avrebbe potuto meglio indirizzare la voglia di menar le mani ed ottenere così riconoscimenti sportivi (e soprattutto economici). In quella piccola palestra, che per la cronaca è quella della polizia, il piccolo grande George comprende quale potrà essere il suo lasciapassare per la fama e la ricchezza, così inizia a frequentarla con dedizione.

Nonostante sia poco agile, e ancor meno aggraziato nello stile, può contare su colpi pesantissimi e letali che diverranno il suo biglietto da visita e lo porteranno a esordire nel 1967 all’Olimpiade di Città del Messico, competizione nella quale vincerà la medaglia d’oro dei pesi massimi senza alcuna difficoltà. Nel 1969, proprio mentre Alì sta per fare il suo ritorno dalla squalifica per ritenzione alla leva, Foreman inizia da professionista la sua cavalcata al titolo mondiale con una lunga serie di incontri nei quali miete vittime a raffica, vincendo quasi sempre entro la terza ripresa, massacrando letteralmente i suoi avversari.

Solo Roberto Davila e Levi Forte nel 1969, poi Gregorio Peralta nel 1970, riescono, pur sconfitti, nel miracolo di resistere oltre la terza. Si racconta che George si alleni e forgi la propria potenza in lunghe sessioni d’allenamento con un ex colosso del ring quale è Sonny Linston. Nel 1973 arriva il primo incontro di alto livello, in cui Foreman è dato sfavorito contro un grande campione come Joe Fraizer, già vittorioso su Alì e campione del mondo Wbc e Wba. Dopo un inizio in sordina Foreman prende le redini del match e scaraventa Fraizer da ogni parte del ring sbattendolo come un tappeto. Lo atterra sei volte in due round prima che l’arbitro interrompa l’incontro. George Foreman è il nuovo campione del mondo dei massimi e il modo in cui lo è divenuto lascia presumere un regno lungo e incontrastato. La sua “dittatura” resisterà invece soltanto un anno e mezzo, fino alla fatidica notte di quel 30 Ottobre 1974.

Lo sconforto per la perdita della cintura di campione portarono comprensibili reazioni di rabbia e desiderio di rivalsa. George Foreman tentò invero di riconquistare ciò che aveva perduto con una serie di incontri che avrebbero dovuto culminare con la rivincita contro Alì. Il primo che affrontò, con in palio il titolo nordamericano fu Ron Lyle, altro gigante nero con il quale diede vita ad un match molto violento colorato da rispettivi atterramenti e nel quale Foreman alla fine si impose per K.O. al quinto round. Poi, nel 1976 a New York, fu la volta di incontrare per la seconda volta il grande Joe Fraizer, già abbattuto, più che sconfitto, nel 1973 a Kingston in Jamaica. Anche qui prevalse Foreman con un K.O.T. alla quinta ripresa. Dopo altre tre sfide vinte prima del limite, nel 1977 affrontò Jimmy Young, l’ultimo ostacolo prima della tanto agognata rivincita con Alì che avrebbe smosso fiumi di denaro e concesso a Foreman di riprendersi il “suo” titolo (e spazzare via tutti i fantasmi che fino ad allora avevano eroso la sua anima).

Tuttavia quei fantasmi si ripresentarono con veemenza tutti insieme quella notte. Young, che l’anno prima si era visto infliggere un’immeritata sconfitta ai punti proprio contro Alì, era un pugile molto agile e resistente, che praticava una boxe essenziale fatta di micidiali ripartenze. Foreman non trova i varchi che vorrebbe e i suoi pesanti colpi finiscono per infrangersi contro la guardia di Young, il quale, alla dodicesima e ultima ripresa riesce addirittura ad atterrare il gigante di Houston. George Foreman vede svanire questa grande occasione nei cartellini dei giudici, e, rientrato negli spogliatoi esausto per la fatica, sviene in preda ad una crisi nervosa. Al risveglio Big George racconta che Gesù gli è apparso in sogno, nitido, persuadendolo a seguire un’altra strada, diversa dalla boxe. Ai presenti sembrano le parole deliranti di un uomo sfinito ma George dice davvero, mantiene la parola data a Cristo “in persona” e a soli ventotto anni si ritira dalla Boxe professionistica.

Nel periodo di lontananza dalla Boxe Foreman ingrassa notevolmente e si rade i capelli, ha come solo scopo nella vita quello di aiutare le persone attraverso la parola di Dio. Il pastore si sposa e sforna figli a raffica tra una predica e l’altra, e di tornare sul ring proprio non ci pensa. Per dieci anni diffonde la parola di Dio e celebra addirittura matrimoni cullando il grande sogno di poter aprire un centro cattolico per bambini orfani ed emarginati. Realizzare questo progetto implica molto denaro, che ormai l’ex campione non possiede più. Tuttavia un giorno accade un fatto, la miccia che accende nella testa di George l’idea per raggiungere il suo scopo nella maniera più rapida e ovvia. Riprendere a combattere. Sì perché la Boxe diventa, per coloro che la provano con intensità, come un bisogno fisico, non quotidiano ma necessario, a cui si può anche rinunciare  per lungo tempo ma che prima o poi torna a bussare alla propria porta dell’anima.

Accade così che un giorno George Foreman è davanti alla televisione con uno dei suoi piccoli figli guardando un incontro di boxe tra i campioni di fine anni ottanta. Forse pensando ad alta voce si lascia scappare il commento che ai suoi tempi i campioni erano davvero campioni, davvero dei re, molto più forti di quelli in attività, e che lui, nonostante fosse alla soglia dei quarant’anni, potesse ancora batterli tutti. Il piccolo figlio lo deride e tenta di scoraggiarlo, facendo leva sulla sua età e ancor più sull’inattività, ma ormai la decisione nel cuore del caduto di Kinshasa è presa. George Foreman decide di rientrare nel circuito. Gli bastano poche telefonate per ottenere il consenso di chi, più che spinto dalla sua possibilità di vincere, è attratto dalla curiosità e dal clamore che un suo ritorno provocherebbe nella gente. Torna in palestra impegnandosi assiduamente per riportare a una condizione decente il suo fisico titanico: bene, il 9 Marzo 1987, dopo esattamente 10 anni dal ritiro, torna sul ring di Sacramento contro Steve Zouski, che viene spazzato via in quattro riprese. Foreman è lento e privo di tattica, ancor meno di quanta ne avesse negli anni Settanta, ma la potenza e la capacità di intimorire gli avversari con lo sguardo sono  assolutamente integre. Combatte spesso e nella maggior parte dei casi stende gli avversari con terribili KO. Nel 1991 affronta addirittura un grande pugile e campione del mondo come Evander Holyfield che gli concede una possibilità per una difesa non impegnativa del proprio titolo, ancorché condita da un sontuoso giro di soldi che il match tra due “grandi” avrebbe indiscutibilmente generato. Big George perde dignitosamente ai punti contro un pugile di altissimo livello facendo una bella figura e attirando le simpatie di quel pubblico che vent’anni prima lo riteneva un campione antipatico, l’antieroe opposto al venerato Alì.

George continua a combattere ancora, ma riduce la frequenza, memorabile è il suo incontro contro Tommy “The Duke” Morrison, il Tommy Gunn di Rocky V, continuando ad accumulare dollari per il suo sogno benefico. Nel 1994, a quasi 46 anni, riceve un’inattesa telefonata in cui gli si propone di affrontare Michael Moorer per il titolo mondiale, in un evento che suona più come una festa d’addio in omaggio ad un grande atleta piuttosto che un match che possa impensierire il campione in carica. Moorer infatti, fresco di titolo mondiale Wba e Ibf strappato a un Holyfield non più giovanissimo, vuole una difesa del titolo che possa attirare le televisioni e garantirgli una borsa cospicua, e, vista la mancanza di campioni di razza in giro, la scelta è ricaduta sull’eterno Foreman. L’incontro si disputa il 5 Novembre 1994 all’ MGM Hotel di Las Vegas e i pronostici sono tutti per Moorer. Come da copione il più giovane campione attacca senza sosta il vecchio, che è costretto a legare quando non incassa i numerosi colpi. Tra gli assalti di Moorer e qualche apprezzabile replica di George si arriva alla decima ripresa. Foreman, che pure ha gli zigomi gonfi, sembra aver imparato la strategia da adottare molto più che in passato, grazie anche a quel monumento di Angelo Dundee, una volta secondo di Alì e ora al suo servizio.

Quando mancano circa novanta secondi alla fine della decima ripresa Moorer sta ancora attaccando furiosamente e il verdetto dei giudici è tutto a suo favore. Foreman accusa e pare fermo sulle gambe, ancora più lento di quanto aveva abituato, si limita a replicare a due mani quando vede uno spiraglio lasciato dal campione ma sembra sul punto di cedere. Questo forse inganna Moorer. A un minuto dalla fine della ripresa Foreman tocca col sinistro poi lascia partire un destro perfetto, di rara potenza. Stupendo. Il giovane campione cade al tappeto inerte, si capisce il match è finito. L’arbitro decreta il KO e George si piega all’angolo a ringraziare il suo Dio. George Foreman è campione del mondo per la seconda volta nella sua carriera, il più vecchio della storia e a vent’anni esatti da quel funesto 30 Ottobre 1974. I fantasmi africani se ne sono andati via per sempre. Combatte ancora per qualche tempo match di scarsa importanza e nel 1997 annuncia il ritiro.

Ormai è un uomo felice che può tornare al suo gregge e ai suoi sermoni, in quel centro di accoglienza che regala sorrisi a lui ed a tanti bambini abbandonati. Anche la sua anima è definitivamente in pace ed è commovente vederlo sostenere il suo amico rivale Mohammed Alì, menomato dal Parkinson durante la cerimonia degli Oscar per il bellissimo “Quando eravamo re”. Sì perché George Foreman è stato un grande re, tanto temuto e odiato all’inizio quanto amato e ringraziato alla fine.

 

 

24-07-2017 | 14:16