Quadri, miliardi, nani e ballerine

I primi giorni di aprile sono a Venezia alla corte di François Pinault per assistere all’inaugurazione della ciclopica pagliacciata messa in scena da Damien Hirst. Quasi tutti sono arrivati direttamente da Atene, dopo aver ascoltato il soliloquio psicotico di Adam Szymczyk che presentava “documenta 14”. Un curatore giovane e pieno di energia positiva, con l’aspetto da killer di una serie poliziesca della ZDF e l’urgente necessità di comprare una vocale per il proprio cognome. Poi, giusto il tempo di passare da casa per cambiare calze, mutande e camicie, un passaggio rapido a Londra dove si tiene l’asta di Sotheby’s, ed eccoli a Milano che cercano un’occasione alla vernice di Miart. Se non la trovano, niente paura, basta lavare le mutande sporche nel lavabo dell’hotel e, anche se non sono ancora asciutte, imbarcarsi sul Lufthansa per Berlino.

È il momento del Galleries’ Week-end con un sacco di proposte nuove e la possibilità di incanaglirsi in qualche locale sordido, ma fottutamente trendy. Poche ore di riposo, barbiere, un paio di sedute di solarium, due tubetti di melatonina e via a New York per Frieze e le fiere collaterali. Lì controllano l’andamento dei prezzi, quelli veri, quelli a sei e sette cifre. Tutto bene, ma non riescono nemmeno a festeggiare che bisogna tornare a Venezia alla svelta, apre la Biennale. Orgia di parole, soldi, video, installazioni, quadri, botox, tartine, tette rifatte, vecchie glorie riscoperte, giovani rampanti da scoprire, truffe, coca, femminismo e prostituzione, capitalismo e rivoluzione, zen e puttanate, performances coi giubbotti di pelle nera e i cappellini da baseball, leoni d’oro, tigri di paglia.

Tirare il fiato è impossibile, devono correre da Prada dove si celebra in pompa magna la malinconia televisiva di Francesco Vezzoli. “Una cagata pazzesca”, avrebbe detto Fantozzi se lo avessero invitato, purtroppo Fantozzi non c’è. Invece, ci sono tutte le modelle che hanno appena finito le sfilate di Milano. Arte anoressica, ideale per conservare la forma. C’è anche la Cicciolina, che dopo il porno, il Partito Radicale e Jeff Koons, sembra diventata indispensabile perché l’arte possa dirsi veramente contemporanea. Nicolas Bourriaud, l’inevitabile Hans Ulrich Obrist, Lucia Annunziata, Carlo Freccero e il divino Germano Celant in giubbotto da motociclista si sono fatti carico di consolidare l’apparato teorico dell’operazione. Messa in archivio la rutilante tavola rotonda, ricevono una copia omaggio del catalogo (oltre 900 pagine, come precisa il comunicato stampa) e possono andare a letto qualche ora. Ma guai a lasciarsi andare. Alle prime luci del giorno tutti devono riprendere il volo per JFK (chi non lo chiama così è proprio un Fantozzi che nessuno inviterà mai più) visto che a New York si apre la settimana delle aste da un miliardo, come la definisce la pubblicità delle major. E lì trionfa una caterva di scarabocchi di Basquiat, di complementi d’arredo firmati da Koons e di soprammobili dal design mistico dell’ineffabile Kapoor. Centinaia di migliaia, milioni, miliardi di dollari, adrenalina e delirio. Peccato, bisogna fare i conti in fretta e furia che l’aereo riparte.

A Kassel lo psicopatico della ZDF inaugura la parte tedesca di “documenta 14”, quella del Fridericianum. Quest’anno si è allargato, la Grecia era solo l’antipasto. Dev’essere una nuova abitudine teutonica (anche se lui è solo polacco).  Molti concetti, guerra alla miseria nel mondo, funzione politica dell’artista, smaterializzazione dell’opera, multiculturalità, migrazioni, morte al mercato, viva il mercato, molti concetti, un po’ di rottami industriali, workshops, performances, ambienti, urgenza di combattere il disastro ambientale, funzione estetica della politica, video, molti concetti. Fatto. Anche “documenta 14” è nel sacco. Se Dio vuole, tutti possono partire per Art Basel (la fiera di Basilea) dove ci sono i soldoni, e ci si può finalmente divertire un po’. Ci sono i Cinesi, i Russi, gli Americani, i Tedeschi, Prada, Pinault e Arnault. C’è la santissima trinità della moda, ci sono Picasso e Matisse mescolati ai quadretti di Jonas Wood, c’è tanto silicone da rimodellare il profilo delle Alpi, c’è l’inevitabile Hans Ulrich Obrist, c’è tutta l’arte contemporanea, cioè quella senza passato e senza futuro, ci sono le coppe di champagne, c’è il figlio di Schnabel che ha aperto una galleria a St.Moritz perché le Alpi sono il posto giusto per riflettere sulle opere e lui è un ragazzo molto riflessivo, ci sono Mondrian e Malevic mescolati con Bonalumi e Simeti, c’è Marina Abramovic tanto piena di energia positiva e silicone che il suo nuovo profilo sembra quello delle Alpi, c’è il divino Celant che forse è venuto in moto, c’è Damien Hirst che è entrato nella lista dei cinquecento Inglesi più facoltosi, con Kapoor e meglio di lui, ha aperto il proprio museo e si è associato con Pinault, ci sono gli oligarchi con le fidanzate e un numero di puttane sufficiente per far divertire tutta l’Armata Rossa, ci sono Pollock e De Kooning mescolati con i pasticci di Mark Bradford, ci sono armate di buyers e di sellers, c’è Vezzoli che consola Donatella Versace di non far parte della santissima trinità e c’è Cicciolina che si consola pensando che la Donatella ha in corpo molto più silicone di lei, ci sono le modelle anoressiche e c’è Szymczyc che guarda Bourriaud in cagnesco perché è anche più emaciato e verboso di lui e, quest’anno forse, ci sono anche Freccero e l’Annunziata.

Che meraviglia, ma che fatica. Dopo una primavera così intensa, il popolo dell’arte contemporanea deve concedersi una pausa, un po’di meritato riposo prima di ripartire in tromba per la Fiera di Berlino a settembre. Se ne vanno tutti a Panarea dove Abramovic fa un seminario sulle virtù energizzanti delle pietre vulcaniche. Speriamo trovino anche il tempo di leggere il catalogo di Vezzoli.  

 

 

        

15-05-2017 | 00:02