Pirandello sulla 44th strada
L'immagine più intensa della filmografia del regista Inarritu si trova nell'episodio del film collettivo dedicato all'Undici Settembre. L'idea del suo corto è senza dubbio la più potente tra tutte le altre. Il regista raccorda le immagini di repertorio di corpi che si gettano nel vuoto del Trade Center ad inquadrature con lo schermo completamente nero. Queste icone assolute non si arriva mai a leggerle, sullo schermo, come neutre.
Montate secondo una partitura ben ordinata – un paradossale momento visivo “dodecafonico” – queste immagini/non immagini – alternate così violentemente ai momenti reali di suicidio – sembrano tagliare lo schermo come in un'opera di Burri.
Il regista messicano ambienta sempre a New York questo suo ultimo fortunato film. Non potrebbe essere altrimenti. New York è Gotham. E Gotham è la città di Batman. E l'uomo pipistrello ormai quasi tre decenni fa venne interpretato da Michael Keaton nell’epocale film Bat-Man del 1989, il blockbuster che inaugurò un nuovo modo di portare sullo schermo i comics.
Oggi possiamo definire il celebre cult di Tim Burton come il primo capitolo della storia moderna nel rapporto tra cinema e fumetti. Il film ed i sequel conMichael Keaton protagonista furono all’epoca dei forti campioni di incasso, ma nelle tre occasioni in cui fu chiamato ad interpretare l’uomo pipistrello, il nostro eroe subì sempre l’amaro destino di farsi rubare la scena dai suoi antagonisti e dalle sue partner femminili. Di quei film patinati dallo spiccato gusto anni ottanta ci rimangono nella mente non a caso Joker, il Pinguino e la Donna Gatto, la cui femminilità fece a gara con quella di Kim Basinger.
Alla fine la Warner licenziò mister Keaton e passò l’onore dell’uomo pipistrello ad un giovane attore del Mid-West: George Clooney. Situazione di contrappasso citata anche in una delle scene del film. Sarà soltanto unodei molti rimandisu cui è costruito il testo narrativo, un percorso che procede ambiziosamente attraverso una progressione fluida di piani sequenza. Michael Keaton interpreta nel film, con una chiara consapevolezza pirandelliana, una stella del cinema in declino che, persa l’occasione della sua vita quando fu chiamato a portare sullo schermo il super eroe Birdman ormai tre decenni or sono, cerca adesso di rifondare la sua carriera ripartendo dal teatro colto di Broadway.
La location è lo storico teatro St.James sulla 44th. E stavolta Robin non è altro che sua figlia, una ventenne in crisi esistenziale che riflette le colpe, rimorsi e frustrazioni dei padri come la migliore tradizione del teatro classico impone. Se a questo punto diciamo che nella vita reale l’attrice Emma Stone, che interpreta la ragazza, sta per convolare a nozze con il coetaneo protagonista dell’ultima saga dell’Uomo Ragno (conosciuto ovviamente sul set) diventa doveroso scomodare ancora una volta il pazzo di Girgenti più dei camici bianchi di Vienna, sempre pronti ad intervenire - su chiamata - dalla critica cinematografica di tendenza.
Ma in cosa Birdman è davvero Pirandello sulla 44esima strada? Nello spunto alla Enrico IV? Nella sfida tra i linguaggi come in Serafino Gubbio? Nel fatto che la vicenda di Birdman è animata da ben 6 personaggi in cerca di autore? Da tutto questo e da niente di questo. Il tutto e il niente. Come nella sequenza del Trade Center citata in apertura, che qui Inarritu arriverà finalmente ad esorcizzare proprio nella scena finale. L’Oscar a Birdman premia forse la più grande magia del Cinema: l’attore. Maschera, Istrione, Simbolo e Sortilegio. Bugia e Verità. Ciò che ci ipnotizza, ciò che ci respinge. Birdman urla a gran voce che l’Attore è sempre vittima della crudele maledizione di Giano, in qualsiasi messa in scena si trovi ad agire. Mettendo il suo volto sulle copie del film, esponendolo sul palco, ostentandolo in una vetrina televisiva, è colui che scommette sempre, in ogni occasione, tutta la posta.
Ogni sera mette in gioco tutto il suo tesoro; la sua carriera. Come Giano appunto, la divinità romana che incarnava l’incertezza dell’anno venturo, per ogni volta che procede si porta dietro un fardello sempre più pesante. Vive due vite. La pubblica e la privata. Quando riconosciamo un attore, lo associamo a tutte le altre precedenti occasioni in cui abbiamo riconosciuto la sua maschera. Più di ogni altra pedina del meccanismo industriale dell’entertainment proprio l’attore, faustianamente, deve operare le scelte più rischiose rapidamente, perché il Tempo, con il suo naturale invecchiamento, è il vero Titano che mina la sua carriera.
La più amara constatazione del film è che spesso tutto è inutile. Lo dimostra in maniera esemplarela scena madre del film. Il dialogo del nostro protagonista con la decana della critica che -a priori- ha già deciso di stroncare il suo spettacolo. A quel punto, solo se sappiamo come volare ancora più in alto (e solo un supereroe ha di questi poteri) possiamo permetterci di cadere sulla scena.