Pinocchio sottratto a Collodi

"C'era una volta......"

"Un re!"

"No ragazzi, avete sbagliato, c'era una volta un pezzo di legno..."

Pinocchio rappresenta - insieme ad Amleto, Salomè e all'opera poetica di Vladimir Majakovskij - una delle "ossessioni" preferite di Carmelo Bene. Il rapporto tra Bene e l'immortale burattino di legno creato da Carlo Lorenzini/Collodi si è sviluppato lungo un viaggio in più tappe durato quasi quarant'anni che ebbe inizio nel 1961-62 (alcune fonti riportano il 1961, altre il 1962), quando il giovane Bene mise in scena un suo adattamento del romanzo di Collodi sul palco del mitico e famigerato Teatro Laboratorio, il piccolo spazio di Piazza San Cosimato (Roma, rione Trastevere) che in quegli anni ospitava le "malefatte" teatrali del genio salentino. Successivamente Carmelo Bene ideerà e metterà in scena altre tre edizioni teatrali di Pinocchio - nel 1966, nel 1981 e nel 1998 - alle quali si aggiungeranno un libro (Pinocchio, Manon e proposte per il teatro, pubblicato dalla casa editrice milanese Lerici nel 1964), due edizioni radiofoniche, un'edizione televisiva andata in onda su Rai 2 nel 1999, una versione discografica e anche una sceneggiatura per un film mai realizzato scritta insieme a Nelo Risi, che del film avrebbe dovuto firmare pure la regia (la sceneggiatura prevedeva Totò nei panni di Geppetto, Brigitte Bardot o Claudia Cardinale o Virna Lisi in quelli della Fata Turchina e Giancarlo Cobelli in quelli dell'Omino di Burro, oltre ovviamente a Bene nel ruolo di Pinocchio).

Nelle mani di Carmelo Bene Pinocchio diventa il simbolo di un processo di crescita "civile" e in quanto tale crudele e addirittura tragica, perché sancisce il passaggio dalla condizione inorganica, pre-umana e felicemente irresponsabile e spensierata del burattino di legno, alla condizione del bambino in carne e ossa destinato a diventare un adulto "maturo" e in quanto tale ottuso, banale e portatore in-sano di una morale piccola, borghese (nel senso peggiore del termine), burocratica e impiegatizia, che si mette da sola su un piedistallo e punta il dito giudicando e sputando sentenze (come fa il Grillo Parlante nell'edizione televisiva, non a caso vestito da giudice) e che soffocherà per sempre ciò che di buono e di immediato c'era in Pinocchio prima che perdesse il legno e acquistasse consistenza umana.

Se nell'edizione del '61-'62 Pinocchio <Sottratto alla dolciastra favola collodiana [...] si consegnava masochianamente ai tiri mancini della fatina> (sono parole dello stesso Bene), e se in quella del '66 vennero inseriti dei passi tratti da Cuore di Edmondo De Amicis per sottolineare il carattere fortemente innovativo dell'indisciplinato personaggio di Collodi, così diverso dai fanciulli che nel coevo romanzo di De Amicis perdono la loro infanzia e la loro stessa vita per sacrificarsi in nome di un ideale, nell'edizione dell'81 e in quella del '98 la "denuncia" dell'orrore di crescere che caratterizza tutti i Pinocchi teatrali carmelobeniani prendeva corpo e forza soprattutto attraverso la voce di Bene, che in entrambe le edizioni doppiava tutti i personaggi maschili, interpretati sul palco dai fratelli Mascherra (nell'81) e da Sonia Bergamasco (nel '98).

Un'altra particolarità riguardante la versione del '98: in essa (e anche in quella televisiva) Pinocchio/Bene appariva incatenato a un banco di scuola, avrebbe potuto togliersi la catena in ogni momento ma non lo fa, perché? La risposta la fornì lo stesso Bene in un'intervista rilasciata nel 1999 al settimanale Avvenimenti: <Pinocchio sa di essere legato ad un banco e truffato dal Gatto e la Volpe, ma sta al gioco, è consapevole dell'impossibilità di essere liberi sia quando si è burattini, cioè quando non si è ancora nati e si appartiene all'inorganico del legno, sia quando si diventa bambini e si impara a parlare per pro-verbi>. E i tre pro-verbi con i quali alla fine Pinocchio liquida il Gatto e la Volpe rappresentano proprio l'affermazione di quella morale cui si faceva riferimento in precedenza, che ama esprimersi in maniera libresca e mediocre usando modi di dire e frasi fatte: <Quando Pinocchio impara a leggere>, sostiene Bene sempre nell'intervista ad Avvenimenti, <diventa un essere mediocre, perde il legno e con esso l'inorganico, l'infanzia e si avvia a diventare un bambino perbene, cioè un cittadino che può esprimersi solo attraverso l'ottusità dei proverbi.

Alla fine Pinocchio insegnerà a leggere al padre analfabeta con l'arroganza che è propria della paternità; nessuno è padre ad un altro, del resto. In questo ritroviamo la situazione della scuola, il paternalismo volgare della coscienza preconcetta del Grillo Parlante, della codificazione del linguaggio che viene fuori da qualunque regime, qualsiasi esso sia>.

 

 

 

27-08-2014 | 23:55