Pierre, traditore per troppo amore

Pierre Drieu La Rochelle, scrittore francese morto suicida nel marzo 1945, è iscritto a buon diritto nell’impolverato albo degli intellettuali collaborazionisti, precisamente in quella romanzesca ed eterogenea sottocategoria, tutta francese, che s’adoperò ambiguamente per rendere lieto il soggiorno dei nazisti a Parigi. Prendendo per buono l’inflessibile separé che divide i buoni dai cattivi – e che tuttora si usa per accomodare le idee senza ripensarle un attimo di troppo – egli starebbe senza dubbio afflosciato in poltrona, con gamba accavallata e sigaretta in bocca, tra questi ultimi, tra i reietti destinati all’oblio dalle direttive imposte dall’allora nuovo corso democratico. Talmente comodo e perfetto per la parte che pure l’atto estremo, compiuto per evitare la prevedibile sentenza di cospirazione col nemico, pare inserirsi perfettamente – sublimato com’è in una doppia recita tutta autoreferenziale – nella trama di uno dei suoi libri. Talmente pertinente poi, che dal libro suo più noto, Fuoco Fatuo, trassero veramente la sceneggiatura per un film, diretto da Luis Malle ed interpretato meravigliosamente da Maurice Ronet. 

Evidentemente c’è del postumo fertile oltre il disgusto ideologico, tuttavia senza campi da coltivare per rozzi seguaci. Anzi, addirittura dispiace un poco che nel 2012 l’opera di Drieu La Rochelle sia entrata a far parte della Bibliothèque de la Pléaiade, ossario chic dell’editore Gallimard. Secca perché c’eravamo tanto affezionati a quel Drieu incompreso e infantile, dandy fuggitivo allo specchio con l’hobby del suicidio, non letto dai più per principio o ignoranza, e quindi esclusivo, confidente privato, traditore per troppo amore. Lo stereotipo dello scrittore parigino elegante, perdente per snobismo, provvisto di pseudonimo simbiotico, Gilles, annoiato, fondamentalmente proustiano sicché ben lontano dalla messa in scena superomista che miseramente la stupida ruota della storia finì poi per relegare alle curve degli stadi.

No, Drieu era un viziato e capriccioso esteta, l’amante impotente di se stesso, l’amante tradito del – dal? –  desiderio. Basta scorrere le 159 pagine de L’homme couvert de femmes (spiace, ma la traduzione non rende la musica) per assaporare tutta la perversione dannunziana di un ego soverchiante, tanto da invadere sovente il campo dell’eterno femminino, tanto da creare nuove labirintiche e artefatte ragioni attorno allo sperpero dell’esistenza, borghesemente intesa. L’uomo pieno di donne, o per dirla alla Pirandello, di nessuna. L’uomo messo in posa, coperto dalla propria rassegnazione evasiva, come se fosse così naturale ribaltare le parti con morbosa introspezione. Ecco, Drieu è questa rinuncia tentatrice, il gusto amarognolo di un’attesa perenne, rimandata fino al momento perfetto, quando sarà esaurito il conto delle maschere prese a nolo e tutte le frivolezze verranno addebitate. Magari con la scusa d’imputarsi, ad onta, un fascismo qualsiasi.

 

 

02-05-2015 | 11:23