Pensierini piccini picciò

Cos’è un giovane scrittore? Forse Rimbaud che a 20 anni smise di scrivere?

Da noi è in genere un tizio che sente l’urgenza di comunicare i propri pensierini in quel lungo intervallo tra ultimo pannolone e menopausa. Pensierini piccini picciò, illuminations mentre ciabatti tra cesso e cucina di un 100 mq monobagno bibalcone, quali quelli che incontro in un blog di giovani scrittori, appunto.

Mi colpisce una meditazione mattutina – «in bagno», appunto – di uno dei nostri giovani scrittori. Allunga la mano verso lo spazzolino e subisce un trauma: «Sulla spazzola dello spazzolino stava appeso un ragno». Da un giovane scrittore il minimo che si esige è la precisione. Non si sta appesi «su», e la «spazzola dello spazzolino» in italiano darebbe «le setole dello spazzolino». Bene, il Nostro, che vergine d’ogni cultura, vedendo un ragno non pensa né a Dostoevskij né a Ingmar Bergman, trae dall’insetto un utile apologo in puro stile omiletico. Lui – veniamo a sapere – non è né aracnofobo, né aracnofilo, bensì «aracnoinfastidito». Il giovane scrittore si sposta dal cesso al poggiolo dove giunge la seconda folgorazione: cos’è uno xenofobo? Dopo aver teorizzato che la xenofobia, come l’avversione ai ragni, è un tratto caratteriale immutabile, così dice di sé:

Io non sono xenofobo; sono, tuttavia, uno xenoinfastidito. Basta un’occhiata alla mia vita: le mie amicizie sono tutte con persone bianche, per lo più con un buon livello di istruzione (formale o informale), generalmente della piccola borghesia. Il mio contatto con lo straniero avviene nelle forme canoniche: il ristorante cinese, il domestico filippino (non in casa mia; in casa d’altri), il kebab nordafricano, il venditore di cd taroccati africano nero. Nei treni e nelle stazioni ferroviarie, che a causa del mio lavoro frequento pressoché ogni giorno, vedo che funziona molto bene il mio istinto di discostamento. Separo le nazioni, lombrosianamente: mi danno sensazione di pericolo i nordafricani, non me la danno gli africani neri; temo l’odore degli slavi; non credo al sorriso dei cinesi (a quello degli africani neri, sì); non provo desiderio per le prostitute africane nere; provo desiderio per le minute donne cinesi o giapponesi. Niente di tutto questo è meditato. È tutto immediato.

Che obiettargli? Che quegli stranieri che gli danno l’«istinto di discostamento» spesso parlano francese e inglese impeccabile – e lui, solo l’italiano sciatto e stentato tra omelia di un parroco veneto e letteratese da antologia? Che esistono i viaggi, non il turismo? La Weltliteratur, teorizzata da Goethe come ponte di conoscenza tra i popoli? Che esiste il desiderio e spesso, quelli da cui il pirla si discosta, per il saggio sono bellissimi e desiderabilissimi? Che ho centinaia d’amici in tutto il mondo, io, e decine tra i nostri immigrati? E tanti amori? Che la prima virtù di uno scrittore, come diceva Graham Greene, è la slealtà, verso ogni ordine costituito?

No, questo non deve fare lo scrittore. Deve aprire una tabaccheria, rapinarsi da solo e dire alla polizia e all’assicurazione che i rapinatori erano albanesi o marocchini.

 

 

20-05-2014 | 03:02