Paperino e la satira sul Nazismo

Goebbels suona il trombone. L’imperatore Hirohito, il sousafono. Goering li segue con un leggiadro ottavino. E Mussolini chiude la formazione arrancando sotto un’enorme grancassa, con il suo maestoso metro e sessantotto. La banda marcia fieramente, lietamente, paga del cantare le gesta del Fuehrer. E dietro di loro occhieggia un cielo azzurro punteggiato di nuvole a forma di svastica.

“La fantasia distruggerà il potere, una risata vi seppellirà”, oltre ad essere uno dei motti del Maggio Francese è il principio cardine che da sempre fonda e alimenta la satira. Se ne puoi ridere, non fa paura.

In Germania il regime strizzava l’occhio a opere come il radiodramma Deutsche Passion di Richard Euringer (autore anche dell’empio rogo di 18mila volumi non conformi all’ideologia nazista asportati dalle biblioteche di cui era direttore nella città di Essen), in cui Hitler veniva assimilato a Cristo. Era il 1933, e mentre Goebbels in persona si congratulava con l’autore, da qualche parte, a Berlino, un artista saltava da un balcone e sfuggiva alle SS.

John Heartfield da diversi anni era una spina nel fianco del regime. Già da tempo tormentava Hitler e i gerarchi nazisti demistificando con i suoi geniali fotomontaggi l’epopea che essi avrebbero voluto costruire. La copertina di un giornale illustrato mostra Hitler, appena un anno prima che prendesse il potere: servile, minuto, mentre un gigantesco industriale del quale non si vede il volto lascia cadere un fascio di banconote nella mano del futuro dittatore, atteggiata al saluto romano. Heartfield vi aggiunge una frase esplicativa, “Il significato del saluto di Hitler: un piccolo uomo richiede grandi regalie”. È una successione di sberleffi insopportabili, una galleria di insolenze che non può essere tollerata. Dalla carta patinata dei suoi fotomontaggi Hitler viene radiografato con un cumulo di marchi nello stomaco, Goering come uno scimmiesco macellaio. Una famiglia tedesca consuma una cena a base di... bicicletta e altri oggetti metallici, in ossequio alla saggia osservazione di un gerarca secondo il quale “le armi sono meglio del burro” (e poi dicono male di Maria Antonietta). Una vecchia nonna addenta una forcella, un pupo in carrozzina attacca di buona lena un’ascia e il cane in primo piano spilucca senza troppa convinzione un bullone. Alle pareti fa bella mostra di sé un’allegra tappezzeria a fantasia di svastiche, segno dell’ingerenza del regime in ogni aspetto del quotidiano, proprio uguale a quella della casa di Paperino in un celebre cortometraggio del ’43, Der Fuehrer’s Face (video sotto).

Se fare satira sul nazismo in Germania non era facile (Heartfield difatti dopo essersi sottratto alla cattura attraversò i Sudeti a piedi rifuggiandosi prima in Cecoslovacchia e poi a Londra), nella prima fase del conflitto anche l’America si astenne dal fare ironia sugli avvenimenti europei, sempre più preoccupanti. Ancora presa dalle problematiche che erano seguite alla Grande Crisi, il 96% della popolazione non credeva affatto che entrare in guerra fosse una buona idea, come riportano alcuni sondaggi effettuati nel ’39. Di conseguenza, anche la cinematografia fino a un certo punto si tenne alla larga da tematiche considerate scomode e scottanti.

Il primo a gettare un sasso nello stagno dell’apparente indifferenza americana è Charlie Chaplin, che nel ’38 scrive Il Grande Dittatore, provocando reazioni ambigue nell’ambiente, tanto che la Motion Picture Association of America, che rappresenta i maggiori studios americani, lo avverte che probabilmente avrà problemi con la censura.

In capo a pochi anni l’America entra in guerra e la propaganda anti nazista diventa all’ordine del giorno. Fra i membri della MPAA che avevano guardato con diffidenza all’opera di Chaplin c’è anche Walt Disney, che dal ’42 in poi a sua volta dà vita ad una serie di cortometraggi a sfondo politico, con protagonista Paperino. Il fine è quello di tranquillizzare i cittadini, ma in alcuni casi anche quello di indurli a pagare le nuove tasse che sono state imposte per sovvenzionare la guerra.

Uno in particolare rimane tuttora inedito in Italia a causa della rappresentazione che vi si dà del fascismo. È Der Fuehrer’s Face, vincitore dell’Oscar come miglior cortometraggio d’animazione nel 1943, un breve cartone animato nel quale Paperino vive in Germania ed è operaio in una fabbrica di bombe.

Il corto si apre con la marcetta intonata da Goebbels, Goering, Hirohito e Mussolini. Disney aveva chiesto all’autore della canzone, Oliver Wallace, di inventarsi qualcosa che fosse comico pur rimanendo serio, qualcosa che ispirasse rispetto ad un tedesco facendo invece ridere un americano allo stesso tempo. Ne uscì una melodia ispirata allo Schnitzelbank, un tipo di canzone in uso nelle scuole tedesche, basato sulla domanda dell’insegnante e sulla risposta corale dei bambini. In questo caso le “domande” riguardano la superiorità della razza e l’invincibilità della Germania, la risposta è “Heil!”.

Durante il loro cammino i quattro personaggi attraversano un paesaggio dove tutto è a forma di svastica, le nuvole, gli alberi, i tralicci della luce, finché arrivano alla casa di Paperino, la cui facciata è ispirata alla fisionomia di Hitler. Anche all’interno dell’abitazione tutto fa riferimento al nazismo (compreso il motto “Heil Sweet Heil” a capezzale del letto). Per prima cosa Paperino deve fare il saluto alle guide delle potenze dell’Asse, Hitler, Hirohito e Mussolini, i cui ritratti sono appesi al muro. Poi procede ad una frugale colazione composta da un caffè ricavato da un solo chicco, profumo di uova e bacon (a Palermo diremmo “scrusciu di carta senza cubbaita”) e una fetta di pane fatto di segatura. Quindi comincia una proficua giornata di lavoro che per munifica concessione del Fuehrer durerà quarantotto ore. Paperino lavora a una catena di montaggio che ricorda quella di Chaplin in Tempi Moderni, facendo parossisticamente il saluto nazista fino ad avere le allucinazioni.

In ultimo si sveglia scoprendo che si è trattato solo di un incubo. È un cittadino americano, come dimostra il suo patriottico pigiama a stelle e strisce, e l’ombra con il braccio levato proiettata sul muro non è quella di un gerarca, ma quella della Statua della Libertà.

Charlie Chaplin sospirò. “I pessimisti dicono che fallirò. Che I dittatori non sono divertenti, che il male è troppo serio. Io credo che si sbaglino. Se c’è una cosa che so è che del potere si può sempre ridere. Più in alto è l’oggetto dei miei strali, più la mia risata lo colpirà forte”.

 

 

19-08-2014 | 00:00