Mad Men, l'America da bere

Ci sono due parole che si possono tranquillamente dire masticando l’oliva di un cocktail martini: Don Draper. Sebbene le vicissitudini dell’Agenzia Sterling Cooper permettano una storia corale, l’indiscusso protagonista è lui.

La AMC, il canale che fornisce contenuti “classici” americani (American Movie Classics) sta per togliere l’obiettivo dagli ascensori del palazzo di Madison Avenue a Manhattan, dove dal 19 luglio 2007 (in Italia dal 18 Marzo 2008) ha posto sotto i riflettori gli spregiudicati pubblicitari di Madison Avenue regalandoci uno dei più straordinari viaggi nel tempo. La serie Mad Men di Matthew Weiner ci ha fatto rivivere New York City negli anni ’60. Qui la potenza: l’ha fatta rivivere a chi non l’ha mai vissuta. A stento ce l’ha fatta vedere perché è sempre rimasta fuori dalle enormi vetrate dei grattacieli, degli alberghi e delle case dove, col leitmotiv di conquistare un cliente e creare una campagna pubblicitaria, ci siamo stonati di whisky e vodka, fumato innumerevoli sigarette seguendo ammaliati, come ombre, i protagonisti vittime di una sorta di caos interiore, che mezzo secolo dopo è più che attuale. Weiner, sapendo che altri ci hanno finora già mostrato ponti e strade, che la Grande Mela è entrata in qualcosa che si può chiamare un immaginario realistico, ha puntato sugli interni.

Gli intrecci di Mad Men hanno svelato i successi e le miserie dell’americano medio e dell’americano di successo, di chi in salotto ha appena fatto spazio per la tv o di chi sogna di averla. Nel bene o nel male i nostri creativi hanno tutti una marcia in più. È come se Donald Draper incontrasse al bancone di un bar un frustratissimo Ricky Cunnigam neoregista, piegato sul suo terzo bicchiere di bourbon, e con una pacca incoraggiante gli consigliasse di non fissarsi sul come realizzare un film tipo “Cocoon”, ma di prendere tempo girando nel frattempo la storia di una sirena che si ritrova per sbaglio a Manhattan.

Vedere la sponda dell’oceano da dove sono state importate buona parte delle nostre abitudini sociali, in una ricerca delle nostre origini moderne, è intrigante. Mad Men è riuscito a rendere un tema semplice, un’idea che in centinaia avranno avuto: compiere l’affresco di in un periodo dove stavano nascendo le scienze sociali, la comunicazione di massa, attraverso il bisogno e le abitudini che iniziò ad innestare la pubblicità. Lo ha fatto in maniera magistrale fondendo tutti gli ingredienti di quello che è risultato dal sogno americano dell’epoca che non era soltanto voglia di emergere, ma anche nuotare pacificamente in un branco. La sicurezza della classe media, la ribellione psichedelica, la rivolta operaia, l’opposizione razziale, la nascita e il consolidamento dei tycoons, la posizione sociale della donna ne pervadono il clima.

Fedele a se stessa, la serie non cerca di stiracchiare periodo e storie: dopo averlo annunciato sulla copertina del “Time” il 7 Aprile 2014, il 13 Aprile ha avuto inizio la settima e ultima stagione della serie. Quattordici episodi di cui i primi sette vedono la luce nel 2014 e i restanti sette preparano l’addio deciso per il 2015.

Creativi, slogan, consumo di massa, messaggi accattivanti. In Italia abbiamo avuto qualcosa di vagamente simile con la “Milano da bere”, quella fu probabilmente la nostra “Manhattan”.

Che a proposito si ricrea con due parti di whisky statunitense per non scordare l’immensità delle piantagioni, una parte di vermouth italiano per il conclamato stile, e una paio di gocce di angostura per il sogno del tropico.

 

 

05-06-2014 | 14:43