L'orrore è alle porte
Dieci anni sono passati da quando Mussolini ha preso Roma. Un decennio nel corso del quale, a forza di omicidi, finte elezioni e leggi dispotiche, il comandante delle squadracce fasciste si è trasformato in capo di tutto un popolo. Da secoli la Città Eterna non è più la capitale di un impero e ormai non è più nemmeno quella di un regno col suo reuccio codardo. È diventata solo il covo del duce, che la folla osanna mentre, sguaiato, sbraita in uniforme dal balcone di Palazzo Venezia, dando alla tragedia i toni della farsa mascherata. Ma nelle strade, nelle piazze, nei vicoli e nei parchi delle ville, nelle chiese, nelle basiliche come tra i resti del foro o delle terme, si respira ancora l’aria densa di una civiltà millenaria. Una civiltà gravida di sapere, d’arte e di struggente bellezza, per nulla simile alla caricatura grottesca cui tentano di ridurla i vaneggiamenti del dittatore.
Immersa nella morbida vegetazione di un parco mediterraneo, oltre Porta Pia, lungo la via Nomentana e non lontana da Villa Torlonia, l’Accademia di Villa Massimo è distante mille miglia da Osnabrück o da Berlino, dal rigore di quel clima e da quei cieli color del piombo. Vi risiedono per un anno i giovani borsisti considerati in Germania come i più meritevoli nei campi della letteratura, della musica e delle belle arti. È il collezionista Eduard Arnhold, colto industriale ebreo, che per farne dono al governo di Prussia, l’ha voluta, finanziata e fatta costruire su disegno del suo architetto di fiducia, Maximilian Zürcher. Inaugurata nel 1913, è stata sequestrata dal governo italiano subito dopo lo scoppio della Grande Guerra e durante tredici anni la si è adibita a ricovero per i mutilati. Solo nel 1928 le sue porte si sono riaperte agli artisti. La dirige Herbert Gericke, un brillante professore appena trentenne, che è molto vicino alla nuova generazione dei pittori tedeschi.
Felix e Felka abitano in uno degli appartamenti annessi agli ateliers. Ce ne sono dieci tutti uguali, disposti a schiera dietro la fontana, sul lato sud del parco. Luminosi, di grandi dimensioni e davvero accoglienti. Tutt’intorno viali di cipressi e pini marittimi, statue e vestigia dell’antichità. Una sorta di “Arcadia” lambita dalla luce vellutata del sole di fine estate, sfiorata dalla brezza che scende dai colli e avvolta in un silenzio d’ovatta, rotto solo a tratti dal gracchiare delle cornacchie. È un luogo incantato, la cui serenità, però, stona con lo stato d’animo di Felix e ne amplifica il disagio. Ha lasciato un paese sull’orlo del baratro, è inquieto per le sorti dei suoi familiari, gli manca il fermento di Berlino. E poi, c’è la pittura. Non gli è più chiaro quale direzione seguire, cosa dipingere, in che modo dipingere. È come se questa residenza a Roma avesse provocato un vuoto d’aria nel volo che, dai tentativi degli inizi, lo ha portato senza soluzione di continuità fino ai primi successi presso le gallerie che contano. Non una sosta, ma una brusca interruzione. E allora, Felix lavora poco e senza voglia. Cerca di passare meno tempo possibile nell’atelier. Il fatto che Felka riesca a farlo con tanta pazienza quasi lo irrita. La prende per mano e vuole uscire. Passeggiare lungo le strade della città per pomeriggi interi e guardare, guardare tutto e tutti, guardare con attenzione maniacale. I volti della gente, la foggia dei loro abiti, le facciate dei palazzi, le crepe nei muri, i rami degli alberi, la grande arte del passato. Non riuscendo a creare immagini, vorrebbe almeno riuscire a vederle.
Lo colpiscono in particolar modo i quadri di De Chirico e di Carrà. La sensazione di realtà sospesa in un tempo immobile, che aleggia nelle opere dell’uno, e i colori polverosi, rarefatti, quasi immateriali, nei dipinti dell’altro, gli aprono una dimensione nuova, puramente mentale, della pittura. Ne è intensamente affascinato e l’influenza dei due artisti italiani sarà vieppiù visibile nelle sue tele a venire. Roma si rivela poco a poco come un’incubatrice di pensieri che lo portano lontano da quel rapporto immediato con il reale, pressochè convulso, di cui si nutre il lavoro dei suoi contemporanei in patria. Senza rendersene chiaramente conto, è proprio durante quei giorni che Felix scopre la profondità metafisica del dipingere e la fa propria.
Nel frattempo, a Berlino, l’Imbianchino disegna. Sta delineando gli ultimi tratti del progetto che lo porterà al potere assoluto. Tanto le elezioni presidenziali quanto quelle politiche non sono state risolutive in questo senso, ma hanno creato le condizioni per le quali Adolf Hitler può affermarsi come il solo uomo forte di una Germania ormai ingovernabile e gravemente lacerata. Ha tessuto una fitta tela di relazioni con i vertici dell’industria e della finanza, gode del sostegno dei più alti gradi militari, ha sedotto la stampa e vaste fasce del mondo della cultura, regna indiscusso su una cospicua truppa di assassini senza scrupoli, ed il popolo nella sua grande maggioranza vede in lui il paladino del riscatto.
6 novembre 1932
Il presidente von Hindenburg ha fissato per questo giorno la data di nuove elezioni.
Il Reichstag è stato sciolto il 12 settembre in seguito alla mozione di sfiducia al cancelliere Von Papen, proposta dal Partito Comunista e approvata con l’appoggio dei nazionalsocialisti. È la quarta volta che i Tedeschi si recano alle urne nello stesso anno, dopo i due turni dell’elezione presidenziale di marzo e aprile e le infruttuose elezioni legislative di luglio, alle quali il partito di Hitler ha ottenuto la maggioranza relativa, ma senza riuscire a costituire una coalizione di governo.
Il risultato non cambia. Anche se i nazisti perdono voti, restano il primo partito con il 33% ed ancora una volta in parlamento non c’è una maggioranza assoluta. Nel paese appaiono con evidenza i segnali di una guerra civile non più tanto latente.
novembre 1932
Felix Nussbaum dipinge Coppia sulle rive del Tevere. È un autoritratto in compagnia di Felka. I due si stringono l’una all’altro. Felix rivolge lo sguardo verso il volto di lei che, invece, fissa qualcosa dritto davanti a sé. Di fianco a loro, un grande albero nero dai rami nodosi e spogli si staglia sullo sfondo di un ponte appena abbozzato e di un cielo dai toni incerti. Al centro del quadro due macchie di colore più appariscenti, quasi incongrue. Sono la chioma fulva di Felka ed il cappello di Felix, che è bianco latte. I giovani amanti sembrano piantati lì, in uno spazio indefinito, ognuno chiuso in sé, ma al tempo stesso inseparabili.
2 dicembre 1932
Kurt von Schleicher, ministro della difesa del governo uscente, è nominato a capo di un nuovo gabinetto di minoranza che ha come scopo immediato quello di riportare l’ordine nelle strade in tumulto. La sua prima mossa è quella di cooptare come vice cancelliere Gregor Strasser, numero due della dirigenza nazista, nella speranza di creare divisioni e destabilizzare il potere dell’Imbianchino sui propri seguaci. Ma, il tentativo è vano. Strasser è obbligato da Hitler a rinunciare a tutte le cariche ricoperte all’interno del partito, che di fatto si rivela compatto e fedele al suo capo.
Il NSDAP non sosterrà il governo Schleicher, per tanto destinato ad una vita breve.
Ed il Führer non si dimenticherà né di lui né di Strasser. Una volta giunto al comando, li farà trucidare entrambi nel 1934, durante la Notte dei Lunghi Coltelli.
Prime settimane di gennaio 1933
Hitler e von Papen si coalizzano per convincere von Hindenburg a liquidare Schleicher e a sostituirlo proprio con l’Imbianchino. La nomina dovrebbe essere accompagnata anche dal conferimento di poteri speciali che permettano al nuovo cancelliere di rinviare le elezioni oltre il termine stabilito dalla costituzione. A questo fine, ottengono l’appoggio determinante del figlio del presidente e suo primo consigliere, Oskar von Hindenburg, e quello del futuro ministro della difesa, Werner von Blomberg, comandante di divisione dell’esercito e uomo molto vicino all’ anziano capo di stato.
30 gennaio 1933
La cospirazione di Hitler e von Papen è coronata dal successo. Von Hindenburg ha costretto Schleicher a rassegnare le dimissioni il 28 gennaio. Dopo quarantott’ore di trattative convulse, l’Imbianchino diventa Cancelliere della Repubblica ed il giorno successivo presta giuramento di fronte al Parlamento. Venticinquemila Camicie Brune sfilano in parata lungo la Wilhelmstrasse. I festeggiamenti si protraggono per tutta la notte. Il presidente riceve una lettera da Erich Ludendorff, suo vecchio amico e capo di stato maggiore durante la Grande Guerra nonché sodale dell’Imbianchino durante il Putsch della Birreria:” Nominando Hitler cancelliere del Reich, tu hai posto la nostra sacra madre patria nelle mani di uno dei più astuti demagoghi di tutti i tempi. Io prevedo che quest’uomo diabolico sprofonderà il nostro Reich nell’abisso e procurerà al nostro popolo immani sofferenze. Le generazioni future malediranno il tuo nome”.
27 febbraio 1933
Il Reichstag viene incendiato. Nel giro di poche ore la colpa del fatto è attribuita a Marinus van der Lubbe, un comunista olandese. Göring ordina l’arresto di tutti i dirigenti del Partito Comunista. Hitler dichiara lo stato di emergenza e fa firmare a von Hindenburg un decreto che abolisce gran parte dei diritti civili.
5 marzo 1933
In un clima di intimidazione e restrizione delle libertà, si svolgono le ennesime consultazioni elettorali. Il Partito Nazionalsocialista esce vincitore con il 44% dei suffragi, ma per raggiungere la maggioranza assoluta si deve alleare con il Partito Nazionale Popolare Tedesco. L’Imbianchino va oltre e, con l’appoggio del Zentrum, ottiene anche una maggioranza dei due terzi che gli permette di far approvare dal parlamento il “Decreto dei pieni poteri” grazie al quale può legiferare in totale autonomia. La dittatura è ormai uno stato di fatto.
7 aprile 1933
Il Führer firma la legge per il rinnovo della Pubblica Amministrazione che introduce il cosiddetto “Paragrafo Ariano”, cioè un provvedimento di discriminazione razziale rivolto ad escludere gli ebrei dai pubblici uffici.
In conseguenza di ciò Albert Salomon perde la cattedra all’Università di Berlino, nonostante i suoi studi sul cancro del seno e la mastectomia, pubblicati a partire dal 1913, siano unanimemente riconosciuti come l’origine della moderna mammografia. Si dovrà limitare all’esercizio privato della professione di medico generico, ricevendo i pazienti nella sua abitazione.
A Paula Salomon – Lindberg viene proibito di esibirsi nei teatri di stato, potrà cantare solo durante le serate organizzate dal Kulturbund Deutscher Juden fondato da Kurt Singer, esclusivamente musica composta da autori ebrei e di fronte ad un auditorio di ebrei. Dedica molto tempo all’educazione musicale di Charlotte in compagnia di Alfred Wolfsohn, maestro di canto dai metodi eterodossi.
10 maggio 1933
Nel mezzo dell’Opernplatz di Berlino vengono bruciati oltre venticinquemila volumi ritenuti contrari all’ideologia nazista dall’Associazione degli Studenti Tedeschi. L’operazione è diretta da Joseph Goebbels, ministro dell’istruzione, che tiene un lungo discorso davanti al rogo, innegiando alla distruzione della cultura “ebraico-bolscevica”.
14 maggio 1933
All’uscita della mostra dei pittori di Villa Massimo, Hubertus von Merveldt arringa violentemente Felix Nussbaum accusandolo di “non essere altro che un piccolo giudeo che ruba le idee degli altri e corre a nascondersi dietro le gonne della sua puttana ebrea”. Ne scaturisce una violenta scazzottata dalla quale entrambi escono malconci. Il direttore Herbert Gericke cerca di sanare la vicenda chiedendo ai due di scambiarsi lettere di scuse reciproche. Felix si dichiara disposto a farlo, ma Merveldt rifiuta ed informa dell’accaduto l’ambasciatore tedesco a Roma. Due giorni dopo il ministero dell’istruzione intima a Gericke di espellere dall’accademia i protagonisti del fatto. Il 17 maggio Felix e Felka lasciano Roma diretti ad Alassio. L’accademia è finalmente judenfrei.
Primi giorni di giugno 1933
Lo studio di Felix e Felka in Xantener Strasse a Berlino viene devastato e tutti i quadri vengono dati alle fiamme. Felix scrive una lettera a Gericke chiedendo di spedirgli ad Alassio le opere rimaste nell’atelier di Villa Massimo. Si farà carico delle spese di trasporto.
16 giugno 1933
Secondo il censimento della popolazione, vivono in Germania 505.000 cittadini ebrei su 67 milioni di abitanti, cioè lo 0,75% del totale. Circa ventimila hanno lasciato il paese dal mese di gennaio.
14 luglio 1933
Il governo tedesco promulga per decreto la legge contro la ricostituzione dei partiti in virtù della quale l’unico partito ammesso in Germania è il NSDAP. La settimana successiva Von Papen ed il segretario di stato del Vaticano, quel cardinal Pacelli che diventerà papa col nome di Pio XII, firmano a Roma il concordato tra la Germania di Hitler e lo stato pontificio.
27 luglio 1933
Charlotte Salomon parte con i nonni materni per una vacanza estiva in Italia. Dapprima a Roma, poi a Firenze ed in fine sulla riviera ligure. Visita i Musei Vaticani, gli Uffizi e Palazzo Pitti. È nel corso di quel viaggio che il desiderio di dipingere le appare come definitivamente irrinunciabile e decide che farà ogni sforzo possibile per iscriversi all’accademia di belle arti.
10 agosto 1933
Sul lungomare di Alassio ci sono tanti turisti che passeggiano all’imbrunire, in attesa delle stelle cadenti di S.Lorenzo. Tra di loro, a poche decine di metri gli uni dagli altri, anche Felix con Felka e Charlotte accompagnata dai nonni. È la seconda volta che le strade di Felix e Charlotte si incrociano a loro insaputa. La prima è stata in una mattina di ottobre del 1924, nella Steinplatz a Berlino. Felix correva per non arrivare in ritardo al corso di disegno dal vero, mentre Charlotte andava a scuola mano nella mano con la mamma.
22 settembre 1933
Goebbels fa approvare dal governo il decreto con il quale viene istituita la Reichskulturkammer, organismoincaricato di stabilire quali artisti possano lavorare e cosa si possa mostrare al pubblico. Una ferrea censura costringe all’attività clandestina i pochi non allineati rimasti ancora in Germania. Viene avviato un programma d’epurazione che elimina dai musei tedeschi sculture e dipinti cubisti, espressionisti, dadaisti, astratti e primitivi. Vale a dire l’Arte Degenerata.
(continua)