L'incredibile storia del Natale 1914

Dopo aver rinunciato a lottare per la causa femminista durante la guerra, le suffragette si adoperarono per ottenere un clima di fratellanza che riportasse le vicende belliche, per quanto possibile, a una maggiore umanità. Per questo nel dicembre del 1914 più di cento femministe di Manchester scrissero una lettera aperta alle donne tedesche e austriache: “Sorelle, alcune di noi vogliono mandarvi una parola [di auguri] in occasione di queste tristi festività natalizie […] Un messaggio di Natale suona come una beffa in un mondo in guerra, ma quelle di noi che volevano e vogliono ancora la pace vorrebbero offrire un augurio solenne a quelle di voi che si sentono come noi. Non dimentichiamo che la stessa angoscia ci unisce, che stiamo passando insieme attraverso la stessa esperienza di dolore e di lutto. Vi preghiamo di credere che qualunque cosa accada noi manterremo la nostra fede nella pace e nella buona volontà tra i popoli; mentre siamo costretti a essere nemici per obbedire ai nostri governanti, dobbiamo fedeltà a quella legge superiore che ci ordina di vivere in pace con tutti gli uomini”.

155 femministe tedesche qualche mese dopo risposero: “Alle nostre sorelle inglesi, sorelle della stessa razza, esprimiamo a nome di molte donne tedesche i nostri caldi e sentiti ringraziamenti  per i loro auguri di Natale, che abbiamo ricevuto da poco. Il vostro messaggio era una conferma di quello che prevedevamo: che le donne dei paesi  belligeranti, con tutta la fedeltà, la devozione e l’amore per il proprio paese possono andare al di là di esso e mantenere la vera solidarietà con le donne di altre nazioni belligeranti. Le donne civili non perderanno mai la loro umanità”.

Mentre le donne si scambiavano messaggi di solidarietà e auguri, gli uomini al fronte soffrivano per quello che si preannunciava essere un tragico Natale. Nelle Fiandre il freddo, il fango e i parassiti tormentavano i soldati; le truppe inglesi e tedesche non conoscevano tregua e attacchi e colpi di mortaio si inseguivano per tutto il giorno: i cecchini continuavano a mirare sino al calar del sole, l’ultimo tiro era chiamato “bacio della buonanotte”. Nella terra di nessuno marcivano cataste di cadaveri che costringevano i compagni sopravvissuti al miasma continuo della morte.

La guerra imponeva a quegli uomini di dimenticare un pezzo della loro umanità per sopravvivere all’orrore; i corpi dei caduti diventavano un rifugio dalla punteria nemica durante gli attacchi e l’odio per il nemico dava luogo ad episodi di inganni e crudeltà. Una settimana prima di Natale i soldati tedeschi avevano deposto le armi e invitato gli inglesi a fare lo stesso e una volta che li avevano visti inermi avevano approfittato di quell’attimo di fiducia per falciarli con il tiro delle mitragliatrici. Qualche giorno dopo i tommies avevano sentito cantare i fritz e, guidati dalle loro voci, avevano spedito un micidiale colpo di mortaio nella loro trincea.

Oltre a quella delle madri, delle mogli, delle donne tutte che in patria aspettavano fiduciosamente la fine della guerra, anche la voce di papa Benedetto XV si era levata per cercare di regalare ai soldati al fronte un giorno di pace. La sua richiesta era stata respinta. Ma, che i governanti lo volessero o meno, nella notte in cui gli angeli cantano i cannoni tacquero. Lungo il fronte delle Fiandre a partire dalla sera della vigilia i soldati stipularono una tregua, contro gli ordini dei loro superiori. Si trattò di episodi autonomi, verificatisi fra diversi battaglioni con modalità e tempi diversi. Per alcuni fu solo un modo per dare finalmente sepoltura ai caduti disseminati nella terra di nessuno. Per altri rappresentò un momento di fratellanza senza eguali.

Il 24 dicembre, vicino alla cittadina belga di Ypres, i soldati stavano godendosi il silenzio dopo le sparatorie della giornata. Sia alle truppe tedesche sia a quelle inglesi erano stati distribuiti doni da parte delle loro famiglie, delle associazioni caritative, del re: cioccolata, alcolici, salumi, biscotti, e poi sigarette, tabacco, calze di lana, polvere contro i pidocchi, coperte. Ciascuno era assorto nella lettura delle lettere arrivate da casa. Poi, un brusio si diffuse per tutta la trincea degli inglesi: “Guardate cosa fanno i tedeschi!”

“Che cosa sono?”

“Alberi di Natale!”

Lungo il bordo della trincea tedesca brillavano candele e lumini, tutti gli alberi lì intorno erano addobbati di luci. Dalle profondità della trincea le voci dei soldati cantavano le popolari canzoni natalizie, portando conforto anche ai nemici. Pochi giorni prima lo stesso avvenimento aveva causato nuove morti e nuovo dolore, ma è la Vigilia. Gli inglesi alternarono i loro canti a quelli dei tedeschi finché non riuscirono a superare le differenze linguistiche intonando tutti insieme Adeste Fideles, in latino.

Un tedesco uscì dal riparo sotto gli occhi spalancati del battaglione avversario e disse: “Sono un sottotenente, gentlemen, la mia vita è nelle vostre mani. Sono già uscito dalle trincee e mi sto avvicinando a voi. Vorrebbe per favore un vostro ufficiale venire a incontrarmi a metà strada? Trenta vostri connazionali giacciono morti nella terra di nessuno, davanti alle nostre trincee. Intendo prendere accordi per poterli seppellire domani. Sono solo e disarmato”.

Il giorno dopo la brina copriva ogni cosa e dava l’illusione della neve. Copriva i corpi dei morti come un lenzuolo, nascondendone le ferite e le mutilazioni, restituendo loro dignità e compostezza. Ma non erano solo i caduti a necessitare di cure. “Ci sentimmo felici come bambini” aveva scritto un inglese in una lettera alla sua famiglia: i soldati cominciarono ad uscire dai trinceramenti prima cautamente, poi con entusiasmo sempre maggiore, cercando di comunicare con gli avversari fino a scoprire che molti tedeschi avevano lavorato a lungo in Inghilterra e conoscevano l’inglese perfettamente. Uno di loro, cameriere all’hotel Cecil a Londra, era stato licenziato quando era scoppiata la guerra e aveva dovuto lasciare la sua fidanzata inglese con la quale stava progettando il matrimonio, per andare a combattere. “Sta’ tranquillo, presto vi batteremo e potrai tornare a casa a sposarla!” cercavano di confortarlo i tommies. E mostravano a loro volta le foto delle mogli e dei figli lontani.

Nella terra di nessuno era tutto un fiorire di doni: un pacchetto di sigarette contro una lattina di carne in scatola, un elmetto chiodato in cambio di qualche bottone dell’uniforme inglese. “ll regalo più bello è stato il pudding di Natale. Al sol vederlo gli occhi dei tedeschi si sono spalancati in bramosa meraviglia, e dopo il primo morso erano nostri amici per la vita. Se avessimo avuto abbastanza pudding di Natale, ogni tedesco nelle trincee di fronte a noi si sarebbe arreso” aveva scritto il soldato Heath. Piano piano saltava fuori un’armonica a bocca, una fisarmonica, un violino e si intonavano carole e canti tradizionali. Chi nella vita civile era stato un barbiere si adoperava per rimettere in ordine le chiome incolte dei compagni, in quel giorno di festa. Tutti si scambiavano gli indirizzi, con promesse di ospitalità quando la guerra fosse finita. Qualcuno aveva una macchina fotografica e poté immortalare la leggendaria partita di calcio del giorno di Natale.     

In realtà le partire furono più d’una lungo il fronte occidentale: alcune giocate con un vero pallone, altre con giacche arrotolate e legate con lo spago oppure addirittura con lattine vuote. Quella mattina aveva gratificato i soldati della prima gelata da molto tempo. Per quanto il freddo potesse essere bruciante, il fango era anche peggio perché si insinuava negli stivali, rendendo gli arti torpidi e i movimenti difficili. Il terreno indurito concedeva la possibilità di una partita, ma imponeva una regola: amico o nemico, quando uno dei giocatori cadeva bisognava aiutarlo a rialzarsi. Le porte erano segnate da pile di cappotti, in campo si giocava cento contro cento, senza arbitri.

I giornali tacevano sull’accaduto, perplessi, e quella partita diede loro modo di rompere il silenzio comunicando l’esito di una di quelle partite: 3 a 2 per i tedeschi, una bottiglia da bere alla salute del re come premio. Gli ufficiali cominciavano a essere nervosi per il protrarsi della tregua e rumoreggiavano perché si riprendesse a combattere (fra loro anche un Adolf Hitler ventenne che scriveva: “Queste cose non dovrebbero accadere in tempo di guerra. A voi tedeschi non è rimasto alcun senso dell’onore?”). Ma i soldati si scambiavano promesse di pace anche per il giorno di Santo Stefano, impegnandosi, se fossero stati costretti a riprendere le armi, a sparare in aria. Nel frattempo si seppellivano i cadaveri, all’inizio gli inglesi con gli inglesi e i tedeschi con i tedeschi, poi tutti insieme. Gli inglesi intagliarono delle croci nel legno delle scatole di biscotti e il cappellano che officiò quel funerale di massa trovò un salmo che tutti conoscevano: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce” recitarono insieme il giorno di Natale.

Immancabilmente arrivò l’ordine perentorio di ripristinare lo stato di guerra e i soldati dovettero tornare alle loro posizioni, augurandosi l’un l’altro buona fortuna. Episodi analoghi, anche se di dimensioni molto più contenute, si ripeterono in diverse occasioni. Quando l’Italia entrò in guerra anche alcuni dei nostri soldati si macchiarono del reato di rifiuto d’obbedienza e conversazione col nemico, come un giovane caporale che aveva augurato buon Natale agli austriaci che dalla loro trincea sventolavano un cartello con su scritto un augurio in tedesco.

Un soldato inglese raccontando dettagliatamente alla sorella la favola di Natale del 1914 concludeva: “E insomma, sorella mia, c'è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso […] Eppure non si può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?”.

 

 

21-12-2014 | 11:57