Lennox Lewis, lo specialista

Lorenzo Longagnani

Lennox Lewis è considerato uno dei più grandi pugili di sempre: detentore di tutte e quattro le cinture dei pesi massimi mondiali che il controverso sistema di federazioni pugilistiche internazionali mette in palio. Nel 1999, sconfiggendo Evander Holyfield nel loro secondo incontro, ha ottenuto i titoli di campione WBA, WBC, IBF ed IBO, quest’ultimo all’epoca vacante. A renderlo uno dei più grandi delle storia, sedicesimo di tutti i tempi secondo la classifica stilata dall’autorevole rivista americana “The Ring”, sono sia la longevità con cui ha mantenuto le quattro cinture, dal dopoguerra nessuno le aveva mai indossate tutte per più tempo di lui, sia il fatto che, nella sua encomiabile carriera, ottenne ben tre volte il titolo mondiale, e sia per lo stile di boxe con cui si è contraddistinto. Questa terza ragione non raccoglie, tuttavia, l’opinione unanime di addetti e appassionati della nobile arte. Una branca di sportivi lo ritiene, o meglio lo riteneva, poco spettacolare se non addirittura noioso nell’esprimere il proprio indiscutibile talento, sostenendo fermamente che non sfruttava appieno le proprie abilità basando troppo la strategia di combattimento sulle caratteristiche dell’avversario, limitandosi quindi a fare il minimo sforzo a discapito del divertimento che avrebbe potuto offrire al pubblico se avesse intrapreso la via della ferocia ed avesse espresso la brutalità di cui sicuramente era in grado. Tale atteggiamento esplosivo, ricercato dai più, non viene caldeggiato, ma anzi osteggiato e di norma sconsigliato da coloro che vivono e praticano la boxe da vicino, apprezzando e preferendo di gran lunga l’uso di una tattica oculata nella gestione delle energie e di una strategia atta a proteggersi dai colpi violenti generati da scambi aggressivi, in cui il risparmio delle energie fisiche e mentali è ritenuto un aspetto fondamentale. Lo stile di Lennox Lewis consisteva in una boxe apparentemente basilare e di fatto minimalista. Sfruttando la sua mastodontica corporatura, 196 centimetri d’altezza per 116 chilogrammi di muscoli, era solito, infatti, piazzarsi al centro del ring con postura prevalentemente verticale, anziché con una più comune inarcata in avanti, lavorando l’avversario con quel Jeb destro che aveva meticolosamente sviluppato in allenamento, e che era il punto di forza di una strategia basata sul combattimento dalla lunga distanza. Solo quando le condizioni erano propizie sfoderava serie di colpi pesanti, ritenuti da autorevoli esperti tra i più duri mai visti, con lo scopo di chiudere prima possibile la partita. Non va, inoltre, tralasciata una grande resistenza e la dote di incassare e assorbire colpi al viso ed al corpo che per altri colleghi sarebbero stati fatali. Nato il 2 Settembre 1965,professionista tra il  1989 e il 2003. Nato a Londra, a West Ham, si trasferì giovane in Canada prendendo la doppia cittadinanza e sostenendo per questo Paese l’olimpiade coreana di Seul nel 1988. Vinse la medaglia d’oro sconfiggendo in finale Riddick Bowe. Il Canada non aveva bensì, le strutture, la tradizione e le borse di denaro che Lewis inseguiva e di cui, invece, la Gran Bretagna poteva farsi vanto essendo da oltre un secolo coinvolta e promotrice in grandi eventi pugilistici. Fu così, tra le critiche di chi lo riteneva essere ritornato britannico esclusivamente per convenienza ma col cuore ancora in Nord America, che Lennox Lewis iniziò la sua brillante ascesa al massimo livello, difendendo i colori dell’Inghilterra e la sua scelta di farlo nel paese natio. Cominciò la carriera da professionista in modo debordante e assolutamente convincente, sbaragliando ogni malcapitato gli si ponesse innanzi, e nel 1992 arrivò a sfidare per il titolo WBO il temibile e navigato campione in carica Donovan “Razor” Ruddock. La vittoria di Lewis fu talmente schiacciante e la punizione per Ruddock talmente severa che il commentatore televisivo americano smise, per lunghi attimi, di raccontare l’epilogo del match definendosi ammutolito per quanto vide, definendo Lewis a dir poco “impressionante e pauroso, un pugile eccezionale che quella sera aveva prepotentemente avvisato tutti delle sue ambizioni ritagliandosi un ruolo da predestinato campione”. Pugile fortissimo e astuto stratega affrontò  gli innumerevoli avversari raggiungendo, spesso senza troppo penare, le collezione invidiabile di tutte le cinture disponibili e la consacrazione storica in questo sport almeno in sei occasioni che rimarranno indelebilmente scolpite nella memoria collettiva. Tra gli epici incontri che lo videro uno dei due protagonisti è doveroso inserire, citata in precedenza, la duplice sfida che ebbe contro Evander Holyfield, poi quella con Hasim Rahman, anch’essa caratterizzata da un primo incontro e dalla rivincita, e dai singoli match prima con Mike Tyson, che di fatto ne segnò il ritiro di questi dalle scene, e successivamente contro Vitali Klitschko in una lotta efferata. Il primo incontro con Holyfield si svolse il 13 Marzo 1999 al Madison Square Garden di New York attirando un’attenzione febbrile in quanto si affrontavano i due più importanti pugili del momento con in gioco la posta più alta e stimolante possibile, ovvero le quattro cinture internazionali, ovvero, il titolo unificato di campione del mondo. L’unico piccolo grande rammarico è che i due contendenti si sono sfidati in età professionalmente tarda, non vecchissimi, Holyfield 37 anni e Lewis 34, ma nemmeno all’apice che i due toccarono una decina d’anni prima nel fiore delle possibilità agonistiche e che sarebbe stata garanzia di uno scontro certamente più entusiasmante. La sfida terminò con un insipido pareggio, per la verità leggermente stretto a Lewis, scaturito dalla sterile attività offensiva dell’americano e dalla strategia nota e oltremodo difensivista di un Lewis che badò prevalentemente a non prenderle per poi colpire quando i varchi dell’avversario erano ampi e nitidi. Per quanto accaduto Lewis avrebbe obbiettivamente meritato la vittoria ai punti e il sospetto di un ingiustizia ai suoi danni venne talmente sostenuta dai suoi legali e collaboratori, da indurre la Giustizia Sportiva Americana ad aprire un’inchiesta in cui effettivamente emersero poco chiari movimenti bancari a favore dei giudici e dei rispettivi manager dei due atleti. Come spesso accade in questo Sport dalle troppe ombre, l’inchiesta si concluse con un nulla di fatto e l’archiviazione della stessa, portando, per calmare le acque di una stampa di settore assetata di verità ed argomenti, ad anticipare l’organizzazione della seconda sfida che si svolse non nel Giugno 2000 come previsto, ma nel Dicembre dello stesso anno. Nel secondo atto le strategie furono praticamente identiche ma alla luce della brillantezza espressa in entrambe le occasioni venne, giustamente, premiata la maggior disinvoltura del britannico a dispetto dell’evidente affanno mostrato da Holyfield. Memorabile fu invece l’incontro con lo statunitense Rahman che, sebbene non per lo spessore ed il blasone che accompagnava lo sfidante, rimase un momento storico nella Boxe in quanto coincise con la prima ed inaspettata sconfitta del gigante londinese il quale, più propenso a godersi in quel periodo il successo e la vanità di un cameo in un faraonico film hollywoodiano, si allenò con scarsa frequenza ed impegno, prendendo clamorosamente sottogamba un avversario meno abile e dotato qualitativamente di lui ma indubbiamente ricolmo di tenacia e determinazione, motivato dalla grande opportunità che gli si presentava. Rahman si allenò diligentemente e in maniera appropriata, consapevole delle difficoltà che l’altitudine di Johannesburg, in Sudafrica, comportava. Lewis fu attaccato e sottomesso per tutte e cinque le riprese che riuscì a resistere, ma alla quinta, sfinito contro le corde ricevette un tremendo destro che gli fece conoscere il buio di un netto K.O. mai assaggiato prima. Hasim “The Rock” Rahman quella sera gli portò via Regno, Trono, Corona e Scettro. Il nuovo campione, che volle massimizzare la sua condizione e cambiò manager passando sotto l’ala protettiva del tentacolare Don King, cercò in tutti i modi di evitare la rivincita con l’inglese spingendo altresì per affrontare quel Mike Tyson oramai lontano dalla belva assassina dei tempi migliori. Sfortunatamente per lui la clausola nel contratto del primo match era chiara e dovette rispettarla concedendo la rivincita all’ex campione, ben conscio che questi non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Sette mesi dopo, il 17 Novembre 2001, a Las Vegas venne ripristinato l’ordine naturale delle cose, Rahman fu massacrato dal primo round al momento in cui cadde pesantemente al tappeto durante il quarto vittima della furia del londinese. Fu uno dei rari casi in cui Lewis mostrò tutta la brutalità di cui era capace ma che generalmente preferiva non esibire. Riconquistato il titolo i tempi erano maturi per regalare agli appassionati di tutto il mondo l’incontro che desideravano da anni. Lewis contro Tyson. Anche qui sarebbe stato molto più avvincente vederli sfidarsi diversi anni prima ma la tavola venne apparecchiata a Memphis, Tennessee, in data 13 Ottobre 2002, ancorché si corse il rischio di annullare l’evento a causa della pazzesca rissa che esplose durante la giornata di presentazione del match dai due rivali e dai rispettivi clan al seguito. La smisurata violenza scaturita quel giorno non risparmiò nemmeno il presidente della Federazione WTC, Josè Sulamain, picchiato così intensamente da subire danni fisici permanenti. A detta dei presenti, fu la classica goliardata americana, precedente concordata, che però sfuggì esageratamente di mano. L’incontro fu interessante e combattuto soltanto per le prime due riprese, poi Lewis prese il controllo adottando la classica strategia che lo contraddistinse in carriera, boxare dalla lunga distanza forte delle leve più estese di quelle del rivale, mentre Tyson la subiva mestamente, divenuto un lontano parente di quel fenomeno assoluto e venerato che assicurava un emozionante spettacolo nel quale denotava una bravura senza eguali nel saper scardinare  e demolire esattamente la difesa di chi poggiava la propria strategia su braccia più lunghe. Le sei riprese successive servirono solo a far capire a tutti, ma proprio a tutti, che “Iron” Mike doveva smettere. Lewis evitava di infierire verso un avversario che si muoveva lento, guardava in basso, sparava al massimo due colpi confusi, senza idee, senza cattiveria e senza speranza. All’ottava Lewis decise che era abbastanza così e con magnifico destro al volto fece sedere al tappeto Tyson per ben oltre i dieci secondi consentiti per rialzarsi. Re indiscusso di questo Sport, trentasettenne e desideroso di fare altro nella vita Lewis decise di affrontare un’ultima sfida intrigante, prima del preannunciato ritiro, affrontando l’ucraino Vitali Klitschko, un trentaduenne molto potente che raccolse in carriera meno del previsto poiché perseguitato da un infortunio alla spalla che riaffiorava periodicamente. L’incontro si disputò il 21 Giugno 2003 a Los Angeles, appassionante e sanguinoso. Al termine di alcuni intensi e durissimi scambi l’ucraino sembrava prevalere sull’inglese ma, con una reazione lampo, Lewis procurò all’avversario una profonda ferita al sopracciglio sinistro dal quale sgorgava sangue copiosamente ed ininterrottamente. Ciò portò a richiedere l’intervento del medico di gara che, dopo le valutazioni necessarie, fu portato a far interrompere il match dall’arbitro e di conseguenza a fargli dichiarare Klitschko sconfitto per ferita. Questo fu l’ultimo combattimento di Lennox Lewis prima di ritirarsi nello stesso 2003. Grande espero di tattica e, come ama giustamente definirsi, “Lo Specialista della strategia” oggi Lewis si cimenta nel ruolo di commentatore di incontri a bordo ring, e, anche in questa veste, sta raccogliendo ottimi risultati e consensi. Per come legge le strategie negli incontri che commenta aveva perfettamente ragione a dirsi Lo Specialista.

 

 

12-01-2020 | 18:59