Le lumache in Purgatorio
Lumache, radici di ramolaccio, fagioli del purgatorio, foglie e semi di senape
Osteria Fernanda – Roma - Chef Davide Del duca
Qualcuno ricorderà Il dilemma dell’onnivoro, dove Michael Pollan si divertiva a praticare un improbabile chilometro zero, raccattando ingredienti per cigli, microallevamenti e parchi cittadini. La sfida di portare in tavola un pasto locavore era vinta, con grande fatica però. Qualcosa di simile succede all’Osteria Fernanda, nel popolare quartiere di Trastevere, dove quotidianamente lo chef Davide Del Duca, allievo di Angelo Troiani e Cristina Bowerman, pratica l’ardito ossimoro di una contadinità metropolitana, ricalcata dal format bistronomico, più incline alla creatività che al nostalgismo. Non bastano le sporte della spesa portate ogni giorno dal mercato in un locale senza celle, dove si lavora praticamente solo il fresco; a essere determinante è il contributo di Alessandro, raccoglitore di “cose strane” per l’agro romano. È lui che fornisce erbe, bacche e soprattutto radici come i ramolacci, strappati da Roma chissà dove, carichi di terra e di amaro. Hanno ispirato a Del Duca un piatto straordinario: cotti sottovuoto per 5 ore senza liquidi, al fine di scongiurare un’eccessiva concentrazione amara, vengono serviti con panko fritto per il croccante, senape in foglie e in grani per variare le testure, lumache al burro di Isigny per l’ironia sulla naturalità del prodotto e per la masticazione. Un piatto dalle sembianze brutalmente nordiche che in bocca mostra morso dopo morso un equilibrio visionario fra amaro e piccante. “Un giorno è arrivato Alessandro con queste radici che non conoscevo; io stavo già provando le lumache e mi è piaciuto associare due elementi terragni. Sono stati necessari 15 giorni per trovare la quadra delle cotture”. Il grasso arriva invece dalla salsa: una purea di fagioli del purgatorio dolcissima, emulsionata all’extravergine, che smussa le punte del piatto con la sua rotondità.
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