La versione di Maxime
(ultima parte). Maxime Du Camp dunque costruisce il primo racconto fotografico dell’Egitto, se si escludono le precedenti immagini riprese dai dagherrotipisti. Dunque è proprio lui a creare questo “mito”. I luoghi sono noti, sono stati disegnati da quelli della spedizione napoleonica, da Denon, da Belzoni e ad altri ancora, ma scegliere come riprendere, come documentare il mondo dell’Islam, oltre che quello dell’antico Egitto, è un contributo importante che ha contribuito alla riscoperta del mondo islamico. Una foto, per capire: “La tomba dei sultani Mammelucchi al Cairo” (fig. 1): ripresa dal lato in ombra, con le cupole fortemente segnate dai volumi e il cielo sempre bianco, perché i negativi sono di scarsa sensibilità e non registrano tutti i colori, (non sono “pancromatici”). E poi ecco le piramidi di Giza e la Sfinge (fig. 2) : Du Camp la fotografa di fronte, un enorme scavo nella sabbia accenna appena a scoprire il corpo, dietro le piramidi, luce da sinistra, composizione molto forte. Du Camp riprende il grande portale davanti ai Piloni di Karnak (fig. 3): in basso un uomo segna fisicamente le dimensioni enormi. Fotografare le rovine vuol dire saper scegliere, come nel caso degli Obelischi di Karnak (fig. 4) con in primo piano l’erba e le rovine. Non lontano ecco i Colossi detti di Memnone, prima una veduta laterale (fig. 5), poi una immagine di fronte (fig. 6) contro le montagne del fondo: un’invenzione impressionante. Il viaggio prosegue verso sud, dove adesso la diga di Assuan ha ormai sepolto tutto, e si giunge all’isola di Philae, che Du Camp non riprende come hanno fatto gli architetti napoleonici – che disegnano lunghi profili dei templi in modo accademico – lui scorcia la veduta da un’isola vicina (fig. 7), mette in primo piano le palme e la riva, con dietro i piloni del tempio e i monti. Du Camp arriva fino ad Abu Simbel, il tempio sepolto dalla sabbia dentro il quale Belzoni per primo era entrato più di trenta anni prima, e inventa una immagine che resterà modello per decine di fotografi: la figura di Ramsete II (fig. 8) illuminata di taglio dal sole e sul fondo il Nilo. Fra le fotografie, una ventina soltanto, che fa a Gerusalemme, eccone una inusuale (foto in alto), quella del “Quartiere occidentale”: le mura, le fortificazioni, lo spazio esterno, ma sopra tutto una Gerusalemme oggi per noi irriconoscibile, quasi un luogo abbandonato, in rovina. Maxime du Camp ha fondato dunque una nuova iconografia, una nuova immagine dell’Egitto. Quando nel 1851 torna in Francia pubblica, presso un editore di Lione, Louis Desirée Blanquart Evrard, un volume con 125 immagini del suo viaggio: ne aveva scattate in tutto 216. La storia della fotografia, quella che viene utilizzata dagli archeologi, come quella del racconto mitico dei faraoni e delle loro dinastie, passa attraverso questo primo momento, questo primo “strato” di eccezionali fotografie. Maxime du Camp, salvo qualche ritratto a Garibaldi durante la spedizione dei mille alla quale partecipa, non fotograferà mai più.