La realtà è meglio di Totò

Una denuncia di furto – è capitato a me – del portafoglio – con tutte le carte che c’erano dentro – può essere un’esperienza penosa, ma al tempo stesso assai indicativa del tipo di rapporto che in larghe fasce della nostra pubblica amministrazione ancora si ha col computer. Poiché comporta alcuni rischi, che qui di seguito descrivo, ritengo utile fornirvi per il futuro un piccolo vademecum di cose da fare e non fare in simili circostanze.

1) Armatevi di pazienza. Nel mio caso è durata circa quattro ore – includendovi un cambio di turno dell’agente verbalizzante, e due cancellazioni involontarie di tutto quel che era già stato dettato.

2) Non mostrate di saperla lunga sull’uso dei computer, anzi, fingete assoluta ignoranza. Se per caso vi sfugge qualche consiglio opportuno, sappiate che sarete subito sospettati di essere in combutta con l’orrenda, odiata macchina. Esempio: mi siedo, si siede, e il monitor è spento. Simile buio si diffonde sulla faccia del verbalizzante, il quale dopo lunga meditazione assesta al monitor una sonora sberla. Il buio continua. Invece di mordermi la lingua, per evitare un’ulteriore punizione animistica al povero schermo, mi lascio sfuggire: «Provi a schiacciare un tasto». Lo fa, e lo schermo s’accende. Verrò sospettato per tutto il tempo.

3) Sedetevi il più lontano possibile dal computer. Sappiate che a ogni minima disfunzione manifestata dalla macchina sarete sospettato di avere agito su di essa: «Cos’ha fatto? Cosa ha toccato?». La distanza non vi solleva però dal possibile sospetto – resti di credenze ben radicate nell’età del bronzo, ma ancora assai vive nella civiltà italiana – di azione da lontano: iella, malocchio, o altro.

4) Munitevi di tappi per le orecchie, da infilare di soppiatto, al momento delle consulenze informatiche richieste all’esperto. In genere è un collega, che lavora sullo stesso piano ma tre o quattro uffici più in là. Per cui le consulenze – tipo, che so: «Piriponzi, perché il cursore non cammina?» – verranno richieste e concesse urlando a pieni polmoni da un ufficio all’altro. Se vi accorgete che il consiglio è affatto sbagliato e balordo, vale quanto detto al capo 2, perciò, se ci riuscite, tacete.

5) Essere pronti, quando già le fronti vostra e sua grondano sudore, a lodare i tempi in cui Berta filava, e il Bove carducciano, solenne come un monumento, arava campi liberi e fecondi. Vi verrà richiesto, anzi imposto di farlo: «Ma non era meglio quando c’era la macchina da scrivere?». La tastiera del computer, miserevolmente sfasciata dalle due dita che vi zappano dentro, vigorosamente, vi rimanderà con la memoria alla tastiera altrettanto sfasciata della macchina da scrivere d’antan, quella, spesso zappata con un solo dito.

6) Sappiate che la dettatura di parole straniere, che so, topcard, è un’impresa a sé. Può richiedere un quarto d’ora.

Deterso il sudore, calmata alla meglio la crisi di panico che monta, siate pronti al peggio. Vi guarderà, con espressione smarrita e vi dirà: «Oddio, s’è cancellato tutto». Vi assicuro, quel che ho scritto non è una parodia. È pura descrizione. Descrizione di un sintomo di una diffusa nostalgia per i bei tempi in cui il carducciano Bove diffondeva sentimenti di vigore e di pace nei cuori italiani.

 

 

17-02-2015 | 16:05