La quantità è una qualità

Molti segnali, quasi quotidiani, ci dicono che dal passato non abbiamo imparato davvero nulla. Anzi, sembra che vogliamo continuare su questa strada ostinata e autolesionista fatta del rifiuto delle esperienze che altri, prima di noi, hanno fatto, e ci hanno lasciato sotto forma di meravigliosa e sapiente eredità. Un esempio? Eccolo.

Della stessa città, Roma, proviamo a guardare due identiche porzioni di territorio, riprese dalla stessa altezza da terra. La prima (foto in alto) comprende una ampia parte del centro storico, con Piazza Navona, il Pantheon, Montecitorio, Sant’Ivo alla Sapienza e Sant’Agnese di Borromini, e via dicendo. L’altra, invece, (foto in basso) un brandello di periferia, forse la peggiore e la più disumana: il Corviale. Un edificio, tristemente noto e lungo un chilometro, che fu costruito negli anni settanta su progetto dell’architetto Mario Fiorentino per lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari). Un edificio mai davvero finito, rudere già fin dal suo inizio, prima di essere abitato. Un modello di spreco del territorio dissennatamente sottratto all’Agro romano, la bella campagna che circondava la capitale. Le immagini dall’alto, come si evince, sono impietose e istruttive allo stesso tempo. Nella prima vediamo il tessuto compatto della città: il reticolo delle vie, le grandi arterie, le piazze e il minuto intersecarsi dei vicoli. L’insieme degli edifici più semplici per la residenza e per il commercio si unisce ai più grandi e monumentali destinati alle funzioni pubbliche, il tutto perfettamente amalgamato nella città a misura d’uomo. Così detta perché proprio percorribile a piedi in lunghezza e in altezza (5/6 piani al massimo nella città storica), in un susseguirsi di case, chiese, palazzi, fontane, piazze, monumenti ed edifici pubblici. È la “civitas” che ci fa cittadini, che ci educa ai valori della convivenza e a quelli del rispetto reciproco.

Nella seconda immagine, invece, sorge l’edificio “modello”, quello che doveva rappresentare un manifesto della città per l’uomo nuovo. Progettato nel 1972, con 1200 appartamenti su dieci piani, in un unico lungo “serpentone” di cemento armato. Doveva essere non solo esempio di sviluppo sociale ma, anche, di riferimento didattico per migliaia di giovani architetti che, in quegli anni, studiavano quelle teorie. E che poi, forti di un'idea di città così “innovativa”, hanno devastato, oggi lo possiamo dire, le città italiane funestandole di periferie disumane. E tuttora continuano, però magari oggi le pitturano di verde e, per dare loro nuova verginità, le chiamano ecosostenibili. Ma l’occhio non si fa ingannare e chiunque, guardando queste due fotografie, è in grado valutare quale è il tipo di città che può darci una migliore qualità della vita e dell'abitare. La città storica rimane come un monito che ci addita un futuro possibile. Costruito, ma umano e civile.

21-10-2013 | 11:21