La luce che lotta contro la notte
Parafrasando il titolo di un celebre scritto di Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese avrei forse potuto intitolare quest’opera Dialogo di un italiano con la Natura islandese.
La mia preoccupazione non è mai stata quella di collocare una generica scultura né in questo paesaggio né altrove. Era mio desiderio al contrario dare vita ad una precisa idea di Islanda. Una torre id ferro e di luce, una materia profondamente fisica unita ad un’altra profondamente metafisica; metallo che nasce dal fuoco che genera la luce. Non un oggetto ma un’immagine. Una lampada. Un’opera pura nella sua forma e nella sua idealità.
L’Islanda, per lungo tempo, nella mia mente, è stata innanzitutto la terra di Sigfrido e di Crimilde, ricoperta dai ghiacci e disseminata di vulcani. Una terra lunare, incorporea, avvolta nell’ombra del mistero e della favola. Estrema Thule. Ho sempre pensato l’Islanda come una nuvola, così come, dal cielo, mi sono reso conto, che ad una bianca nuvola sulla terra, assomiglia davvero la sua forma geografica.
Al sogno sembrano appartenere anche le cronache medievali, quando narrano della grande fama dei poeti islandesi. Così grande da essere chiamati alla corte dei re di Norvegia e che in cambio dell’ascolto delle loro fiabe ricevessero barche e legname, preziosissimi nel loro paese. Il prodotto principale dell’economia islandese era allora la poesia.
L’Islanda è l’emblema della luce che lotta contro la notte, della natura che resiste; è un faro. Per questo, l’unica opera possibile, per me, in questo paese, poteva solo essere un emblema, un faro.