La fata verde della Belle Epoque
“Sotto lo sguardo vitreo dei bicchieri di Boemia” ammalia bambina al pianoforte con la Bagatella in mi bemolle di Beethoven, abbarbicata alle senili ginocchia di Listz, nella paradisiaca tenuta famigliare di Halle (Bruxelles). Oppure, acquartierata nel pulcioso pollaio tra pugnaci alleanze fraterne, sorveglia la nonna materna e la regina del Belgio intente a spigolare chiacchiere nel caffelatte. Sfarfalla con sfrontata nonchalance un ventaglio cartaceo vergato con un’alata quartina di Mallarmé, placido compagno di notti sperse tra suggestioni fiabesche e favolosi spartiti a Valvins (Fontainebleau), avvoltolate nelle fumose volute di una pipa intrisa di lirismo simbolico.
Durante la Grande Guerra capeggia un convoglio umanitario di dismessi furgoni della haute couture, fortunosamente trasformati in ambulanze d’emergenza, assestata su una lussuosa Mercedes tra Jean Cocteau, in impettita divisa da infermiere volontario di Paul Poiret, e Paul Iribe, inguainato in una rabberciata mise da improbabile palombaro. Poi, con un fluttuante azzardo al cardiopalma, svolazza sulle guglie della Ville Lumière, tra spirali aeree e spericolati looping, a bordo del pionieristico caccia di Roland Garros, epico asso dell’aviazione militare francese. È Maria Zofia Olga Zenajda Godebska (Pietroburgo 1872 - Parigi 1950), nota come Misia, incontrastata reine de Paris tra il decadentismo fin de siècle e la ruggente Jazz Age, parzialmente svelata in questa omonima autobiografia postuma (Gallimard, 1952 e ora Adelphi, pp. 242, illustrata a colori, euro 19, foto in basso) tutta odorosa di trine e merletti: fulva sfinge insolente, intagliata in una femminilità magnetica e selvaggia, incorniciata da un opulento chignon impennato su un florido viso paffuto e un diafano incarnato madreperlaceo. E, plurimaritata, regna come una “tigre infiocchettata” (Cocteau) su ben tre facoltosissimi consorti: il polacco Thadée Natanson (in alto insieme nella foto di Edouard Vuillard, 1897 circa. Archivi Vuillard), nipote di una delle tante matrigne, animatore de La Revue Blanche, ferace rivista culturale parigina; il libertino Alfred Edwards, aureo magnate editoriale e cinico fondatore del quotidiano Le Matin; il catalano Josep Maria Sert i Badia, pittore monumentale di chiese e castelli, con cui scivola in un tossico ménage à trois con la smaliziata scultrice Roussy Mdivani.
Ma il vincolo matrimoniale esige un talento operoso e la burrosa Misia è solo ebbra di oziosa svogliatezza: da voluttuosa dea da sofà diviene la sontuosa musa indolente di poeti maledetti e tormentati (Verlaine, Mallarmé, Reverdy), sofisticati letterati (ne A la recherche Proust la trasfonde nella principessa Yourbeletjef e in Madame Verdurin), intellettuali poliedrici (Cocteau, Apollinaire, Max Jacob), incantati ritrattisti (Renoir, Bonnard, Vuillard, Vallotton, Toulouse-Lautrec). Poi, da melodiosa alunna prediletta di Fauré, si tramuta nella munifica ninfa ispiratrice delle avanguardie musicali (influenza le partiture di Debussy, Stravinskij, Ravel, Auric, Satie, Poulenc) e, indissolubilmente avvinghiata a Diaghilev in una rocciosa leadership slava, nella prodiga mecenate dei Ballets Russes (sovvenziona le coreografie di Lifar e Nijinskij e le scenografie di Bakst e Picasso). E spadroneggia nei cenacoli artistici come una “pantera imperiosa e sanguinaria” (Eugène Morand, padre di Paul), prosperoso despota incline a ruminare intrighi (divide et impera), a sbottare capriccioso (tacita i gorgheggi partenopei di un attonito Caruso), a tutelare il malioso sodalizio muliebre con Coco Chanel, altra sua affrancata preda di talent scout (qui mai nominata, solo celata dietro il paravento di un accennato duca di Westminster).
È proprio così, questo barbaro arbitro culturale e burrascoso collezionista di geni: armato di uno spigliato savoir-faire mondano e di una fastidiosa esibizione narcisistica, capace di rimpolpare risucchiare risputare destini artistici come un turbine dissacrante e di trastullarsi con sommi talenti come un burattinaio di ninnoli, fino all’esautorata destituzione e all’ineluttabile scialo di morfina. Misia è inebriante e perniciosa come l’assenzio, fluida fata verde della Belle Epoque, fatale fleur du mal dell’altrui perdizione creativa.