La cartolina che non arriva

Tutti conoscono, fra le molte abitudini singolari di Jacques Derrida – o, alternativamente, Jackie e JD per gli amici –, quella di inviare cartoline con l’illustrazione di Platone che detta a Socrate cosa scrivere.

C’è in quella abitudine tutto un programma, in cui si riconosce che il curatore, trascrittore, collettore ecc. di qualcosa è poi quello che di fondo fa passare una certa propria idea. Diciamo, per intendersi, che è il montatore a decidere in gran parte le sorti del girato del regista.

Se ogni messaggio, quindi, è in qualche modo “relata refero”, perfino per mezzo della voce, che è un messaggio inevitabilmente differito di tutto il nostro apparato interiore, allora tutto è decostruibile, smontabile, rileggibile, rimontabile, reinterpretabile all’infinito.

Proprio grazie a libri come La carte postale Derrida riesce a destabilizzare il mondo accademico, facendosi alternativamente tacciare di cialtronaggine o di marcate tendenze più che filosofiche narrative.

La fortuna, però, è di essere Derrida, e dunque di rispedire al mittente la velenosa cartolina. Non può darsi mai un ri-ferire, un re-citare, tantomeno un re-censire.

Senza, peraltro, cedere di un millimetro alla propria posizione, anzi, compiacendosi di un discorso quasi iniziatico – che ha sempre il pregio di lasciare dietro di sé imitatori ed epigoni mai all’altezza, quindi facilmente cestinabili («Spariranno prima di me» dice DJ in queste pagine).

Il libro è complesso, una sua parte era già tradotta in italiano, Il fattore della verità, qualcun altra pure a brani era comparsa, e la sua complessità è ora per la prima volta a disposizione del pubblico italiano. Il fattore della verità, cartolina per Lacan, parla della lettera rubata del racconto di Poe La lettera rubata. La ripetizione non è ridondante, perché in quel saggio come in questo l’oggetto che interessa è la lettera rubata, sviata, messa nel portalettere ma per questo stesso inarrivabile. Tutto il problema della lettera viaggia su una strada che va verso il piacere e il destino, perché è alla fine lì che inviamo la scrittura di noi, che diventiamo appunto noi stessi scrivendoci e inviandoci presso di loro.

Derrida descrive l’abisso esistenziale, che è inevitabilmente filosofico, anzi, più è esistenziale più è filosofico, fin quasi a trascendere l’esistenza individuale dello scrivente: così, poche righe su una semplice cartolina sono già un’autobiografia – o, invertendo gli addendi, una grafia che autonomamente si fa vita.

 

Titolo: La carte Postale
Autore: Jacques Derrida
Pagine: 520
Editore: Mimesis
Anno: 2015

 

 

14-01-2016 | 13:45