Io ballo da sola (nella Death Valley)

L'Amargosa Opera House and Hotel è un emblema di quell’America che conosciamo dai film di David Lynch, per intenderci, che qui, inevitabilmente, ha girato alcune scene di Strade perdute (Lost Highway, USA 1997). Questo teatro si trova a Death Valley Junction, California, un piccolissimo paese poco lontano dal confine col Nevada che ad oggi conta in tutto sei abitanti. Tra essi Marta Baker, che nel 1967 vi si trasferì da New York. Giovanissimo talento della danza, musicista, dopo esibizioni da ragazza alla Radio City Music Hall e a Broadway, nel 1962 fa un viaggio col marito di allora e, dopo mesi per gli States, vanno in California, appunto nella Death Valley.

Un mattino, complice una gomma a terra del traino della loro auto, un ranger del parco naturale in cui si trovano li manda a Death Valley Junction per farsela riparare. Lì, mentre il marito provvede, Marta gira a caso per i vecchi edifici del posto e trova l’Amargosa Hotel. Attratta e incuriosita, cammina fino alla fine di un colonnato e sbirciando da una vecchia feritoia in un muro, vede il “suo teatro”, abbandonato da anni e in pessime condizioni. Senza indugi, lei e il marito prendono in affitto il posto per 45 dollari al mese, con l’impegno di ristrutturarlo, e il 10 febbraio dell’anno successivo, in un giorno di pioggia, il teatro apre con uno spettacolo di danza di Marta a cui assiste una platea di 12 persone di varie età.

Amore a prima vista, oppure vocazione inconscia e assecondata, fatto sta che lì ha realizzato il proprio teatro  personale. La platea è grande all'incirca come quella di un cinema e i palchi alle pareti, il pubblico che li occupa e il platfond, che sembra un’eco lontana di quello di Chagall all’Operà Garnier di Parigi, sono stati interamente dipinti da lei medesima nel corso degli anni, fino al 1974. Marta Becket è quindi, scopritrice, artista, manager, direttore artistico, scenografa e architetto del proprio teatro. Un teatro dove esibirsi a piacimento, da sola, per un pubblico di pochi affezionati paganti e passanti “per caso”.

Per arrivare lì da luoghi remoti (e sono molti), serve una buona vocazione per le non poche rarità e bizzarrie del mondo dei teatri d'opera indipendenti, e volendolo, si può soggiornare nella medesima struttura del teatro, nel piccolo albergo attiguo (come riporta la denominazione intera del posto), in cui è censito anche il regolare fantasma. Di New York Mrs Becket ha creato l’opposto in tutto, un suo negativo di cui tutti i tratti fondamentali sono ribaltati: affollamento, dimensioni maestose, star system musicale, grandi orchestre, grandi agenzie, grande stampa,  grandi direttori. Si è ritirata dalle scene nel 2010, seppure con alcuni ritorni in questi anni, dopo aver sostituito il ballo con The Sitting Down Show, una volta a settimana,  ma di recente il peso del tempo si è fatto sentire, portandole vicissitudini fisiche ed economiche difficili, e con lei, come per emanazione, alla fondazione no-profit che gestisce il teatro e l’intero abitato. Ma la questione economica sembra ora risolta, e si riporta un’ultima apparizione nel 2012.

Nelle sue memorie, To Dance on Sands, del 2006, scrive <<quando ho dei dolori fisici, quando sono stanca o soffro la solitudine vivendo in città da sola, so che devo andare avanti. Cammino nel mio teatro che ancora mi chiama e mi supplica ‘Usami. Crea per me’. Dipende da me usarlo ancora. Il mio teatro mi dice ‘Prendimi. Fai qualcosa assieme a me. Sono pronto alla sfida. Dammi qualcosa per cui vivere, qualcosa che mi incoraggi’>>. Sembra il più auspicabile dei rapporti col palcoscenico, a cui un artista dovrebbe aspirare per vocazione. Voleva un teatro che fosse solo un teatro, senza un carico di contingenze indesiderate e lo ha trovato, libero dal resto del mondo, rigenerandolo come un seme in un deserto lontano, senza aspettative che diventasse col tempo un grande albero. Non sempre è necessario che ciò accada.

26-04-2014 | 11:13