Intanto anche dicembre è passato

Che i fasti di certa letteratura si siano persi è cosa risaputa: il fascino di novelle come Die Geschichte von der abgehauenen Hand  (La storia della mano mozzata) o delle memoires du voyage o di romanzi forse datati come La ragazza di nome Giulio è appannaggio di pochi cultori che hanno saputo pagare un obolo di noia alla iposistolia di certi libri, che – come certi vini – bisogna lasciar respirare. Il bouquet non migliora, beninteso, e un libro da quattro soldi lo rimane anche se si ha pazienza, ma si tratta di cogliere il modo in cui certe epoche scandivano il respiro e il pensiero, in cui dipanavano una sensazione o si lasciavano impregnare dalla paura. 

“La noia è un passaggio obbligato per accedere al piacere incomparabile della letteratura”, sostiene Tomasi di Lampedusa in un film di Roberto Andò. Malgrado quel che può pensare qualche snob, Proust è di una noia mortale, ma senza quella noia non può scorrere l’immane Nilo obliante della memoria. Al conversatore può accadere (con una frequenza maggiore del non conversatore) di ritrovarsi al cospetto di un interlocutore che è parlato dal fluire lento dei ricordi e, pur cogliendone una certa bellezza, di non essere in grado di tenere botta a questo idioma stillicida. Ci vorrebbe una stoà della lentezza, così da insegnare a non perdere l’attenzione nell’intervallo fra un’espulsione e l’altra dei calcoli di conversazione: è tutta una questione maieutica aspettare le contrazioni dell’interlocutore lento per apprezzarlo. Purtroppo, in mancanza di una simile stoà con relativi mentori stoici, il conversatore advanced dovrà farsi le ossa sulla letteratura. Ovviamente iniziare da Proust potrebbe essere controproducente, perciò bisognerà scegliere qualcosa di più vicino a noi. Thomas Bernhard? No, non Thomas Bernhard. Si pensava piuttosto a qualcosa di più “pop”, se ci si passa l’espressione. In realtà “pop art” o, meglio, “modernariato”.

Nello specifico un inedito mandala eretto in forma di Tour Eiffel: Intanto anche dicembre è passato (Baldini & Castoldi), par la plume de Fulvio Abbate. C’è chi lo conosce per Teledurruti, chi per la sua attività televisiva, giornalistica o social. Molti altri lo conoscono come scrittore. Per chi ha il guizzo di conoscerne l’opera letteraria, il misto di surrealtà e dettaglio storico sono noti. Infatti, per Abbate, come per il buon conversatore, i ricordi sono dettagli, e questa distinzione è capitale. Intanto anche dicembre è passato è l’esempio ideale per quanto detto, poiché le sue pagine sono canto del cigno a eco del nanoparticellare disgregamento dell’esistenza, mappatura di ciò che è sistematicamente vandalizzato dal panta rei. “Che sconfitta però!” non poter entrare alle Folies Bergère dell’eternità come Gemma e Toto nell’infanzia di Abbate in quelle di Parigi. Bisogna farsene una ragione, specie se si è conversatori: la conversazione lenta si incrina sotto i colpi del tempo che passa, come la vita, ma al contempo bisogna resistere alla tentazione d’incalzare l’interlocutore per non perdere il bene più prezioso che l’arte della conversazione possa vantare a certi livelli, ossia i dettagli, seppure mascherati da ricordi. 

Senza dettagli non c’è verità, nemmeno quando si prova a mentire (Gemma avrebbe potuto dire tutto del suo incontro con Camus, anche se Camus preferì rimanere nel suo tumulo a Lourmarin). Non vanno sottovalutati, sennò “si perdono, come sempre accade quando a ricordare è un bambino la cui memoria non è ancora adesiva”. Quello che il conversatore zen può imparare dalle pagine di Abbate, specialmente quelle dell’Intanto, è l’amore dei dettagli perduti, che danno profondità a tutto, che inchiodano come puntine le ali trasparenti del preciso istante in cui si vive. Un buon conversatore conosce l’importanza di questi piccoli ghirigori, li aspetta, anche se per ottenerli ci vuole tempo e contrazione, e, pure se intuisce che la conversazione non merita la sua attesa, presta comunque attenzione perché non si può mai veramente sapere dove i dettagli ci condurranno: per capire Anna Karenina Nabokov fa uno schizzo e una puntigliosa disamina del suo vagone letto, perché non si può escludere che anche la minuzia più negletta sia una chiave formidabile per intuire un disegno più grande e sontuoso. 

Perciò, alla prossima conversazione bradipica, suggeriamo di mandare a mente come rosario questo brano di Fulvio Abbate e di farne tesoro: “Al mio album, non l’ho detto fino a ora, mancava soltanto un pezzo: a quel punto tutto sarebbe tornato alla pienezza, alla soddisfazione di aver sistemato ogni tessera, ogni tassello, ogni tarsia, dimostrando a me stesso, diversamente dal modellismo dove c’era sempre una staffa di troppo a restare fuori dalla carlinga del Messerschmitt Bf 109, che potevo contare su ogni dettaglio del reale, così si sarebbe potuta dire conclusa la mia ricostruzione dell’universo”. E infine, tocco drammatico di una constatazione di per sé drammatica, è sapere che più estesa sarà l’evocazione dei dettagli tanto più sarà lampante l’intuizione se-questo-è-ciò-che-ricordava-chissà-quanto-si-è-dimenticato!

(Foto di Roberto Nistri)

13-01-2014 | 15:03