Il vino che si nutre di vento

C’è una solitudine dello spazio, una solitudine del mare, una solitudine della morte, scriveva Emily Dickinson. Quella del mare è un dolce perdersi nei riflessi del blu e dell’azzurro-verde; è profumo intenso, sale, iodio, brezza che accarezza la pelle. Il mare è la nostra seconda terra: siamo penisola circondata dall’acqua, zattera nell’infinità, nella profondità e nella trasparenza.

Il perimetro è linea di demarcazione sottile e incerta, è costa sabbiosa o rocciosa dove scoccano le vigne. Uve magiche che si nutrono di luce, di vento, di sole, della fertile ricchezza dei terreni, della forza dei suoi costituenti: sali minerali, fossilizzazioni vegetali e marine, argille, tufi, arenarie, sostanze vitali. I vini che sbocciano come un fiore inconsueto e profumatissimo, sono caratterizzati da quest’acquatica vicinanza: sulle isole grandi, Sicilia e Sardegna, più caldi e corposi, possenti e fruttati; in Liguria, un poco spigolosi, acidi e asciutti, sull’Adriatico armonici e sereni, sul Tirreno lunghi e grassi.

Questo è ciò che a noi piace: la diversità, l’inatteso, l’imprevisto. Come in un dedalo antico i profumi si muovono, rincorrendosi lungo la nostra penisola, e qui, ora, siamo a Furore, piccolo borgo arroccato sopra Positano, in uno degli angoli più belli del mondo, fatto di mare e costasassosa.

La vite a Furore rappresenta egregiamente, nel suo significato più profondo, quello di rampicante, tralci e lianeche si spingono verso il cielo. Vedere queste piante aggrappate sui muri verticali della costiera, lascia senza parole. I vitigni sono quelli di sempre, si chiamano Ginestra, Fenile e Ripoli, in un assemblaggio non comune ma al tempo stesso tipico e coltivato con un sistema di allevamento simile a una pergola di montagna.

Qui, con impegno e sacrificio quotidiano, Andrea e la moglie Marisa ricavano un liquido che descrive il legame unico e complesso di questa magnifica fotografia.

La cantina, scavata faticosamente nella roccia, tiene a dimora i piccoli contenitori di legno utilizzati per l’affinamento del vino, il Fiord’uva come forse lo avrebbe scritto Veronelli, enfatizzando il rapporto tra il fiordo, spaccato di rocce, e il mare. I suoi profumi dolci e maturi ricordano le erbe di campo, i fiori bianchi, i piccoli frutti bianchi e gialli. Non finisce di stupire il suo approccio persistente e ampio, diverso. Il palato è sempre piacevole e morbido, arricchito da quella sensazione decisamente inusuale che contraddistingue i vini della costa. Al palato viene lasciato molto spazio a particolari note inorganiche, di terra e argilla, di pietre umide e zolfate. Vale la pena ricercare queste bottiglie e aprirle con la consapevolezza di bere un nobile del sud, un nobile del mare, che solo grazie a Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli ha ricevuto il posizionamento che merita.

Fiorduva Furore Bianco 2011

Delicato e rotondo, fine e generoso di frutta gialla matura.

Fiorduva Furore Bianco 2006

Ancora giovane, lento a rivelarsi, di pietra, salino e vegetale.

Fiorduva Furore Bianco 2004

Di assoluto equilibrio gustativo, armonia e texture.

Fiorduva Furore Bianco 2001

Perfetta fusione di nuance mature e tocchi agrumati. Da servire con crostacei oppure vicino a un risotto con triglie e porcini.

 

 

11-05-2015 | 12:52