Il sommo genio di Emilio Villa

Per trovare una figura decisamente affine a quella di Carmelo Bene bisogna uscire dall'ambito teatrale e rivolgere l'attenzione a quello poetico, nel quale troviamo Emilio Villa, artista totalmente al di fuori di ogni schematizzazione e categorizzazione, proprio come CB.

Nato nel 1914 ad Affori nell'hinterland milanese e morto a Rieti nel 2003 (meno di un anno dopo la morte di Bene), fin da giovanissimo Villa mostrò una grande tendenza all'erudizione e allo studio delle lingue, soprattutto quelle morte: oltre al greco e al latino imparò pure il fenicio, l'aramaico, il sumero, l'assiro e il miceneo. Nel corso della sua vita l'attività poetica (la sua prima raccolta di poesie, Adolescenza, fu pubblicata nel 1934) andò di pari passo con quelle di traduttore (dell'Odissea, dell'Antico Testamento e del Dies irae di Tommaso da Celano, una delle opere più importanti della poesia latina medievale), di creatore di riviste d'arte e di poesia e di critico d'arte (fu amico tra gli altri di Alberto Burri, Piero Dorazio e Giulio Turcato).

Poeta estremamente anticonvenzionale, il suo anticonformismo si manifestava sia nell'uso della lingua, sia nei rapporti con l'industria editoriale. Insofferente fin dall'infanzia nei confronti della lingua italiana, che a suo parere peccava di inautenticità, molto spesso Villa preferì comporre le sue poesie facendo ricorso a una serie di lingue altre, sia vive sia morte, usando in particolare il francese e il latino e inserendo qua e là anche singole parole o interi versi in inglese, portoghese e greco (in alcuni suoi componimenti usò tutte o quasi queste lingue contemporaneamente, dando vita a vertiginosi pastiche linguistici).

Per quanto riguarda invece i suoi rapporti con l'editoria, furono assai scarni: animato da una forte refrattarietà a sottostare alle regole e ai compromessi del mondo editoriale, e convinto che non bisogna «Mai cedere a quello che il pubblico vuole, sennò è una costrizione», Villa preferì affidare molte sue opere a pubblicazioni dalla circolazione estremamente limitata come libri in copia unica, cataloghi di mostre e cartelle d'artista (solo negli ultimi anni della sua vita si decise a far pubblicare i suoi scritti da piccole case editrici). Una volta, proprio per dimostrare in modo inequivocabile la sua volontà a non sottomettersi alle leggi dell'editoria, "pubblicò" dei versi scrivendoli su dei sassi, che poi gettò nel Tevere.

Emilio Villa e Carmelo Bene si conobbero e fecero amicizia nel 1969, per un paio d'anni le loro frequentazioni furono molto poche ma intense, dopodiché il loro rapporto si interruppe e non si videro mai più: non ci furono discussioni o malintesi tra loro due, semplicemente un giorno – è Bene ad affermarlo – Villa sparì del tutto. Bene definì Villa «Forse il più grande genio che abbia mai conosciuto», dal canto suo Villa amava molto la voce di Bene: proprio per celebrare la voce di CB, nei primi anni Settanta Villa compose la Letania per Carmelo Bene, rimasta a lungo inedita (fu pubblicata solo nel 1996 dall'editore Scheiwiller) e scritta in una lingua labirintica e pluriforme (una mescolanza di italiano, francese, latino e inglese).

Bene e Villa avevano molto in comune: la profonda idiosincrasia nei confronti della critica («I critici sono la merda», scrisse Villa in una lettera indirizzata agli artisti Agostino Bonalumi e Piero Manzoni) e della Storia (che per Villa è «uno sbaglio continuo, che non si ferma, e non si stanca mai di sbagliare, di rifare, di rivedere, di ricredersi, di affermare oggi, per rimangiarsi tutto domani»), e soprattutto la concezione "oracolare" della poesia e il modo di intendere il rapporto oralità/scrittura. Come fa notare Aldo Tagliaferri nella nota sulla Letania presente nell'edizione Scheiwiller, Bene e Villa «si trovano d'accordo nel diffidare della scrittura, nella quale identificano il tentativo di imbrigliare e codificare una energia primaria che entrambi presuppongono irrappresentabile, e di costruire, appunto attraverso rigide codificazioni, il recinto istituzionale e censorio dal quale il poeta tendenzialmente sfugge [...] La parola che essi perseguono non può che essere, come scrive Villa, "sola solitaria unica non conoscibile" e pertanto resistente alle pretese del pensiero calcolante, fatalmente riduttivo, e al velenoso incanto dei luoghi comuni che esso produce, dato che perdere il filo del discorso in arte può essere virtù, non demerito, esattamente come nella vita»; e leggendo le opere poetiche di Villa e CB si ha veramente l'impressione di trovarsi immersi in tortuosi fiumi di parole sole solitarie uniche non conoscibili nei quali non va cercato un senso immediato (che non c'è), l'unica cosa che si può fare è tentare di interpretare i vaticini dell'oracolo, lasciarsi trasportare dal flusso dei versi e provare a cogliere l'energia primaria della quale parla Tagliaferri, il senso non immediato, profondo, noumenico nascosto al di là di tali versi. Sempre secondo Tagliaferri, i due artisti erano rappresentanti di «una cultura estranea alle parole d'ordine delle conventicole politico-universitarie», ed erano accomunati anche dall'avversione nei confronti «della irreggimentazione ideologica, della riduzione dell'arte a formulario di una fruizione catechistica, predeterminata per via accademica o avanguardistica»: in sostanza, Villa rappresentava per Bene un sodale perfetto, un altro Grande Eretico votato alla contestazione e alla messa in crisi di uno status quo culturale e artistico sclerotizzato, limitato e incapace di comprenderli entrambi, e soprattutto di valorizzarli.

Se volete approfondire l'argomento Emilio Villa, oltre alla già citata Letania per Carmelo Bene si consiglia il volume Emilio Villa. L'opera poetica pubblicato da L'Orma Editore e curato da Cecilia Bello Minciacchi, che raccoglie tutti i testi di Villa editi durante la sua vita e dopo la sua morte.

 

 

08-06-2015 | 12:16