Il raviolo shakesperiano

“Raviolo non raviolo” di trota salmonata con ripieno di crescione di fonte al profumo di acciuga

 Al Sorriso – Soriso (NO) – Chef Luisa Valazza

Può un raviolo essere non raviolo? La domanda, che meglio forse si attaglierebbe (più che altro per la tematica esistenziale) a un tetro Principe di Danimarca che a un piano da cucina, presenta comunque alcuni tratti meritevoli di riflessione. Porsela è come chiedersi se una qualsiasi cosa - un ente - possa essere contemporaneamente anche una ‘non cosa’, un ‘non ente’, secondo una visione totalizzante dell’Essere. Vero e falso. Sostanza e nulla. Oggettivismo e nominalismo. Solo irriducibile aporie? Forse sì, in filosofia. Ma non su quel piano da cucina, sul quale Luisa Valazza prepara il suo ‘raviolo non raviolo di trota salmonata con ripieno di crescione di fonte al profumo di acciuga’. Solo una banale sfoglia all’uovo, cotta in acqua, che racchiude un pesto di trota e crescione? Nulla di più sbagliato. Se la particolarità di ogni pasta ripiena è quella di occultare qualcosa al suo interno (persino il celebre ‘raviolo aperto’ di Gualtiero Marchesi non abbandonava questa caratteristica, seppur risolveva il problema degli angoli) non così è per questo ‘raviolo non raviolo’. Luisa Valazza, genialmente, abolisce la pasta, squarciando quel «velo di Maya» che Arthur Schopenhauer, ne “Il mondo come volontà e rappresentazione”, sostiene impedisca all’uomo di contemplare il reale nella sua profonda verità. E il reale è appunto quella trota e quel crescione (passati per pochi secondi sotto la salamandra), uno dentro l’altro, che, da sempre trattati solo come farcia, diventano, con magia, sfoglia e ripieno al contempo. Più che atto d’imperio questo piatto appare, nella sua timida nudità, come assoluto gesto intimistico. Come anima che si spoglia da ogni sovrastruttura. Questa non è una pipa, proclamava Magritte nel 1948, ma piuttosto un simulacro. Per contro questo raviolo, pur nella sua totale negazione, ne è l’essenza più profonda.

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20-04-2016 | 22:43