Il mistero del velo che copre Cristo

Se la storia d’Italia è complessa e coperta di segreti, quella di Napoli e del suo Regno sembra essere costantemente vissuta sotto il segno del mistero. Soprattutto nel periodo del Barocco e in quello immediatamente successivo pare che la cultura napoletana abbia sempre voluto nascondere altri significati dietro quelli apparenti delle sue attività. Ne sono massimi esempi due opere: Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto e il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino.

L’opera di Torquato Accetto è un trattatelo uscito a Napoli nel 1641 e rimasto “sommerso”  per quasi tre secoli, fino alla sua riscoperta da parte di Benedetto Croce, che ne ha curato la pubblicazione nel 1928, in piena età fascista. Questo dato fa riflettere se si approfondisce il messaggio del trattato e il rapporto dell’autore col potere del suo tempo.

Il Seicento è un secolo pieno di finzioni, dove ognuno porta una maschera all’interno di un sistema che viene visto appunto come un grande teatro: nel “teatro del mondo” (grande tòpos barocco) chi vuole sfuggire a questa finzione continua, a questa disonesta simulazione, è costretto a dissimulare, a nascondere le proprie vere intenzioni e i propri sentimenti reali, per proteggerli e per rivelarli al momento opportuno. Della dissimulazione onesta è dunque un appello a “velare” la verità per salvarla, ed esorta alla prudenza, requisito fondamentale per chi si muove nella violenta realtà italiana, caratterizzata da dispotici sovrani stranieri, dall’ambiguità della “ragion di Stato” e dalla prepotenza della Chiesa controriformistica. Benedetto Croce vede in Accetto una “sollecitudine morale” rara per il Seicento, trovando nell’invito alla prudenza un’esortazione alla sincerità. Dunque la dissimulazione consigliata per “sopravvivere” ai dominatori spagnoli nel Seicento poteva essere uno spunto per la riflessione politica antifascista.

Ma tornando ad Accetto e al mistero napoletano, si notano i primi punti oscuri fin dall’allusione alle “ferite” riportate dal trattato, che ha dovuto riportare dei tagli. Queste ferite, queste cose non dette, sarebbero ancora più eloquenti di ciò che viene scritto. È un’epoca in cui il dibattito storico ha fatto riprendere la lezione di Tacito, dal quale viene rinnovata la figura dell’emendatio, che appunto aggiunge significato al discorso sottraendone le parole. Questo attribuisce ancora più mistero a quest’opera che è da leggersi pure laddove è stata volontariamente censurata, nella quale bisogna cogliere il non detto allo stesso modo (o forse anche di più) di ciò che viene detto. D’altronde era accaduta la stessa cosa a Giordano Bruno, a Galileo e a Cartesio, i quali avevano dovuto nascondere le proprie teorie, velando la verità con omissioni e artificiose cautele.

Il velo della scultura di Sanmartino si muove su un’analoga linea di mistero, ma con implicazioni e risultati differenti, da inquadrare in un ambiente storico mutato. Il Cristo velato, realizzato nel 1753, era stato commissionato da Raimondo di Sangro per essere posto al centro della navata della Cappella Sansevero. Già dalla tecnica adottata da Sanmartino per eseguire il velo, che è tutt’ora un enigma, si comprende quanto sia occulto il messaggio di questa statua e tutto il milieu alla quale appartiene. Il suo committente, il principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, per via dei suoi interessi esoterici, delle sue invenzioni e dei suoi esperimenti di alchimia, si è guadagnato una dubbia fama nel popolo e in una parte dell’aristocrazia. La leggenda su questo bizzarro personaggio si è spinta fino al punto di ritenere che nel Cristo velato il velo sia frutto di un processo alchemico che ha marmorizzato il tessuto originale. Ma dai documenti storici sappiamo di certo che la statua è stata realizzata da un unico blocco di marmo, dunque la leggenda rimane tale, come una bella storiella da raccontare. Già Croce nelle sue Storie e leggende napoletane aveva capito quanto nel popolo, in quegli anni, una figura brutale e oscura come quella del principe di Sansevero potesse mutarsi millantatoriamente in un novello dottor Faust “che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura o compiere cose che sforzano le leggi della natura”. Ma al di là delle leggende, la Cappella Sansevero mantiene la sua dimensione misterica, e se si tiene conto dell’appartenenza del principe alla massoneria, non sembrano improbabili le letture di questo luogo come percorso iniziatico, dove attraverso le allegorie delle statue che la compongono si arrivi infine alla verità. Dunque la Cappella sarebbe un “libro di pietra” leggibile solo dai membri della massoneria che hanno appreso il linguaggio simbolico di tutte le statue. Non sappiamo se sia questa la giusta chiave di lettura, ma è evidente il valore allegorico delle sculture e la valenza della centralità del Cristo velato nel cuore della Cappella. Al contrario del velo di Accetto (che protegge e nasconde, lasciando intravvedere solo un barlume di verità), il velo di Sanmartino esalta la figura che copre, rendendo sublime la bellezza e la sofferenza della verità di Gesù. Giuseppe Sanmartino non è mai diventato un’autorità artistica, dunque è difficile accostarlo a grandi nomi della scultura, ma all’acuto e sensibile sguardo di Canova e di De Sade il Cristo velato è parso un capolavoro al pari delle grandi opere del passato. È forse una scultura che merita un riscatto e un “riposizionamento” tra i grandi capolavori dell’arte mondiale.

Della dissimulazione onesta invece meriterebbe una vera e propria scoperta, sia dei suoi significati più profondi, sia della vita del suo autore. Infatti Torquato Accetto, da buon dissimulatore, ha dissimulato la sua stessa vita, scomparendo letteralmente dopo la comparsa del suo trattato. Le poche informazioni che si hanno di lui si evincono dalle sue Rime e dai documenti portati a galla dal lodevole lavoro di Salvatore Silvano Nigro, ma per il resto non si sa nulla. Forse si cela un “giallo” dietro alle motivazioni che lo hanno spinto a scrivere questo trattato e dietro alla sua successiva scomparsa; una nuova ricerca, che possa partire dalla scoperta di Croce, passando per gli studi di Nigro e dall’ultima edizione curata per Rizzoli da Edoardo Ripari, potrebbe svelare uno dei tanti misteri di cui è piena la storia italiana e in particolare napoletana, fornendo così nuovi spunti storici e nuovi punti di vista.

Sotto al velo napoletano si trova una realtà molto più ricca e complessa di quella spesso trattata in modo semplicistico e stereotipato dall’unità d’Italia a oggi: per comprendere maggiormente la nostra storia e scoprire delle nuove meraviglie, sarebbe interessante e bello provare ad alzare questo velo.

 

 

23-07-2015 | 10:21