Il dolce fatto con l'oro

L’Oro di Napoli

Ilario Vinciguerra – Gallarate (VA) – Chef Ilario Vinciguerra

“L’oro è senza oggetto”, scriveva Florenskij a proposito delle icone russe, dove allude all’incommensurabilità rispetto al mondo dei colori: l’icona riuscita è quella che contrappone il metallo alla figura, il qui e l’altrove, il soprannaturale e la terra. Anche quello di Vinciguerra è un oro “astratto” perché privo di gusto, contrapposto agli elementi commestibili che lo precedono e lo seguono, fino a distruggere l’unità stilistica del pasto, come accade anche nel quadro. Allude a una diversa teologia: quella della memoria e della comunità; perfino alla solarità di una Campania lontana, visto che il colore del cielo è oro, scrive Florenskij, in quanto luce. Nel caso di questo predessert non viene proposto come foglia, alla maniera di Gualtiero Marchesi, ma come polvere in una gelatina neutra, nelle sembianze di una sfera che emana i paradossali lucori della meccanica, alla maniera di un ufo. Non senza un lampo di ironia nel titolo, perché sotto la patina c’è la farcia della pastiera: grano, acqua di fiori d’arancio, crema pasticciera e cubetti di arancia candita, secondo la ricetta di casa Vinciguerra. Viene tenuta un po’ fluida e abbattuta a – 30 °C dentro stampi semisferici, per essere tuffata nella gelatina calda a base di agar agar e, una volta pronta, adagiata su un disco di pasta frolla. “L’idea è nata a San Sebastian, quando si mangiava solo al cucchiaio e impazzavano le sferificazioni, che presuppongono una base frullata. Io invece volevo far sentire la testura composita della pastiera originale, con una sensibilità tutta italiana e un leggero dileggio verso le mode del momento”.

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28-10-2015 | 11:17