Il baccalà nella tempesta
Il baccalà è il piatto tipico veneziano. Chiunque sia venuto a Venezia avrà certamente provato questa leccornia, ma pochi sanno chi lo introdusse nella dieta lagunare.
I fatti ci riconducono ad un viaggio effettuato dal patrizio veneziano Pietro Queriniche salpò da Candia il giorno 25 aprile 1431, giorno di San Marco. Portava con sé un carico importante destinato alle Fiandre. Nella grande pancia della Querina, la nave scelta per il trasporto, vi erano ben 800 barili di Malvasia, spezie, cotone e molte altre merci. Il Querini aveva fatto la sua fortuna commerciando il preziosissimo vino bianco, conosciuto a Venezia con il nome di Malvasia. Di fragranza mielosa e di sapore dolce e soave, venivaspesso accomunato al nettare degli dei, tanto era prelibato e ricercato. Venezia deteneva una sorta di monopolio nella vendita nei mercati dell’Europa settentrionale e la famiglia Querini deteneva questo primato. Pietro si recava spesso nelle Fiandre, all’incirca nell’odierna Olanda e Belgio, per vendere il prezioso carico. La tratta era sempre la stessa, via mare, da Creta, passando per Malta per poi dirigersi alle Colonne d’Ercole e poi via, su, verso il nord, finché arrivava nelle Fiandre.
Quella volta però qualcosa andò storto. Superato lo stretto di Gibilterrala nave venne sorpresa da una continua serie di tempeste, così forti da rendere il viaggio una vera e propria odissea. Come un novello Ulisse, Pietro Querini tentò di riportare la nave verso la giusta rotta ma la corrente fu più forte di ogni cosa. La Querina si trovò ben presto vicino all’odierna Irlanda senza timone, rotto dai flutti dell’oceano, e senza alberi, strappati dal fortissimo vento. La corrente del golfo spingeva ormai il relitto verso altri lidi sconosciuti. Quando sembrò tutto perduto, il 17 dicembre del 1431, Pietro ordinò di abbandonare la nave. Solo una scialuppa riuscì ad ammarare in un’isola sperduta a nord della Norvegia. Il freddo, la fame, gli stenti, ridussero l’equipaggio a solo 16 uomini. L’isola in cui erano arrivati si chiama Sandøy e al tempo era totalmente deserta.
I fuochi e il fumo richiamarono l’interesse dei pescatori che abitavano la vicina isola di Røst. Giunti nell’isola trovarono i veneziani magrissimi e duramente provati dal lungo e infruttuoso viaggio. I pescatori locali li presero con loro e li portarono nelle loro case, scaldandoli e rifocillandoli. Il piccolo villaggio contava appena 120 anime e basava la sua economia sulla pesca e su uno strano pesce: il merluzzo. Gli abitanti aiutarono i veneziani e li accudirono per quattro mesi. Molti di loro trovarono moglie e iniziarono una nuova vita. Querini, però, volle tornare a casa e mostrare al mondo la nuova scoperta. A maggio, grazie all’aiuto dei capi dell’isola, salparono dalle coste norvegesi, portando con sé ben 60 stoccafissi, arrivando fino in Svezia, poi da lì a Londra dove si incontrarono con la ricchissima comunità veneziana del luogo. Da lì ripartirono a cavallo fino ad arrivare finalmente a Venezia.
Una volta giunti nella città lagunare, Querini mostrò il suo prezioso carico, spiegando che il merluzzo essiccato al sole diveniva stoccafisso, dalla parola norvegese stokfiss e aveva grandi qualità. Il suo sapore rimaneva pressoché intanto ma il suo peso e il suo volume si riducevano e questo garantiva al pesce un’incredibile longevità e una non comune facilità di trasporto. Querini, pur non volendolo, aveva inventato il baccalà che poi divenne pietanza veneziana e veneta per eccellenza.
Il baccalà ancora oggi è conosciuto nell’area dell’ex-repubblica Serenissima come il merluzzo essiccato senza l’aggiunta di sale.