I miracoli che non sono miracoli

Non c’è classe sociale, età o sesso che tenga. Con chiunque in questi giorni si parli delle nostre tenniste titaniche, piccole Davide contro ridondanti Golia, non si potrà fare a meno di condividere e apprezzare tronfi sorrisi. Italiane, del sud per di più, minute e scure come le donne di famiglia nella memoria di molti di noi, accendono quel moto di orgoglio che fa bene, nella sua disarmante semplicità e affettuosa immediatezza.

Lo stesso accade con alcuni film che parlano di noi italiani all’estero, campioni nello sport quando nella vita non ci avrebbero dato un centesimo bucato.

Pensiamo alla saga di "Rocky", per i palati più facili all’entusiasmo tricolore condito da una buona e sana dose di romanticismo “tutti frutti”, ma ancor prima al bellissimo film “Toro scatenato”, che vede una delle più proficue collaborazioni fra due talenti di origine italiana doc, quali sono Martin Scorsese e Robert de Niro.

Toro scatenato” è un film coraggioso, che esce nelle sale in un superbo quanto inatteso – e forse difficile - bianco e nero, mentre trionfano produzioni fantascientifiche quali quelle di Spielberg e Lucas, cariche di sogni per un futuro che poi non arriverà mai.

La magia di questo film di Scorsese, inondato da un magnifico de Niro e puntellato dal talento ficcante di Joe Pesci, forse sta anche in questo: nessun futuro, “solo” una storia senza tempo, che non scade mai.

Quella del talento della forza dell’emarginato, del povero, del rozzo in più di un modo, ma che si mangia la vita perché ha una semplice e esatta fame di lei. E che da lei poi si fa divorare, incapace di compensare tanta energia creatrice con altrettanta capacità organizzativa e intellettuale.

Non racconteremo la trama del film, ma lo evocheremo guardando i pugni stretti delle nostre due campionesse – fortunatamente ben più raffinate e cui auguriamo un futuro sfolgorante - che conquistano i giornali in questi giorni. Pugni non molto diversi da quelli dei nostri pionieri, nel campo dello sport e non solo, nell’America degli emigranti e dei disperati, non poi così lontana.

Ricorderemo la ferocia di Jake La Motta sul ring e la sua stoica resistenza nella parabola discendente; perché no, non si vuol mollare, chili di troppo, patetismi e riflettori spenti a parte. I miracoli si tengono stretti, anche quando non ci crede più nessuno.

La tenacia e la forza a muso duro capaci di conquistare l’inconquistabile sono doti e capacità da considerare, eroicamente, con orgoglio, in un panorama non proprio facile quale è quello del nostro Paese negli ultimi tempi.

Di talenti la storia è piena, ma i nostri, soprattutto quelli sportivi, hanno quel non so che di tragico e intenso che fa venire le lacrime agli occhi.

Perché non ci scommetteresti, davvero, mai. Perché poi ti tiran fuori quella battuta che non ti aspetti, che conquista tutti, anche quelli che, con una buona dose di ignoranza - dire razzismo pare brutto mi sa - fino a poco prima pensavano che a stento questi piccoli scalatori di vette, delle quali probabilmente non sapranno dire il nome senza un accento quanto meno buffo, avrebbero fatto un passo oltre la pizza co’ a pummarol’ in copp.

Perché ti fanno scrivere, a te che di sport fino ad oggi ti sei interessata come si interesserebbe una civetta alla settimana enigmistica, un pezzo col cuore fiero, mentre canti un ritornello da balera e ti dici, beh, non siamo poi così male quando ci crediamo.

 

 

13-09-2015 | 17:16