Gli analfabeti che sanno leggere

Come disse con grande acume Eugenio Montale, “Al giorno d’oggi gli analfabeti sanno leggere”. Tra di loro, poi, ce ne sono molti (senza escludere a priori l’autore di queste righe) che sanno perfino scrivere e si ostinano a redigere testi destinati alla pubblica lettura, complicando le cose non poco.

Quindi, per tentare di interrompere la spirale di ciò che è male inteso e spiegato peggio, il  dovere di ricominciare dalle basi della lingua sembra imporsi proprio a tutti con estrema  urgenza. E cos’altro si potrebbe fare, se non elaborare uno strumento semplice ed efficace che, in tutta umiltà, tenda a migliorare la comunicazione e la comprensione ?

Così, nella speranza di fornire un modesto contributo all’incerto idioma dell’arte, per quanto parziale e disorganico esso possa risultare, ci permettiamo di proporre all’attenzione dei lettori un nuovo, ennesimo abbecedario.

A come arte.

Altamira – Situata tra la Cordigliera Cantabrica e il mare, c’è una grotta ornata da pitture rupestri che risalgono a circa 30mila anni fa. È unanimemente considerata il luogo di nascita di quell’attività che secoli or sono gli uomini hanno deciso di chiamare arte. Tra le tante figure rappresentate sulle pareti - cavalli, bisonti, cacciatori in armi - una ricorre con maggiore frequenza e si impone immediatamente all’attenzione per la sua  semplicità e la sua forza espressiva. Si tratta dell’impronta di una mano. Come una firma o come un titolo. Come un messaggio chiaro: questo è quello che solo l’uomo sa fare perché è l’unico essere dotato di mani. E vale la pena ricordare che, agli albori della nostra civiltà, Aristotele scrisse: “…l’uomo non è il più intelligente tra gli animali grazie al fatto di avere le mani, ma è ragionevole credere che abbia le mani perché è il più intelligente”.

Per quale motivo, oggi, siamo arrivati a pensare che si possa fare arte senza la particolare manualità di un artista? Abbiamo rinunciato all’idea della nostra superiorità intellettuale rispetto al babbuino? Forse, le cose stanno davvero come le vedeva Picasso: “ Dopo Altamira tutto è decadenza!”.

Aste – Anno più, anno meno, ci sono voluti 30 millenni di progresso per degradare la funzione dell’arte fino a renderla solo un oggetto di scommessa. Di questi tempi, migliaia di “lotti” vengono messi all’incanto ogni giorno sull’intera superficie del pianeta. Si tratta di un’enorme moltitudine di cose catalogate come opere d’arte, per lo più contemporanea in quanto più redditizia, malgrado l’assoluta pochezza del loro significato. Scarabocchi, rottami industriali, soprammobili di dimensioni gigantesche, fotoritratti dozzinali di ignoti senza nome, copie maldestre e citazioni pedanti di opere del passato, reliquie di epopee private, incomprensibili arzigogoli concettuosi. Una massa di oggetti con pochissimo senso e moltissimo costo. Buoni, nel migliore dei casi, solo come orpelli decorativi e le cui ragioni di esistere sono altrettanto sconosciute agli acquirenti quanto le produzioni industriali rappresentate dai titoli azionari che dormono nelle loro cassette di sicurezza. È proprio così che li comprano, come azioni in borsa, nella sola speranza di una plusvalenza, senza sapere da che cosa sarebbe motivata. Puro azzardo, semplici scommesse. I saloni delle case d’asta sono gli obitori in cui si espone quotidianamente la salma dell’arte scomparsa.

B come bellezza.

Babele – Dopo essersi dispersi sulla Terra ed avere coltivato la particolarità dei propri dialetti, oggi gli uomini stanno tornando verso Babele e hanno già ricominciato ad edificare una nuova torre. La cosiddetta globalizzazione, spacciata ideologicamente come apertura multiculturale, ma mossa in realtà dalle leggi del profitto illimitato, ha dato origine ad una lingua unica e transnazionale, totalizzante e totalitaria. Una specie di esperanto dell’arte, postmoderno, come lo definisce la propaganda ufficiale, che mescola localismi ed esotismo, arcaismo e avanguardismi, figure, parole, azioni e forme astratte. In realtà, una zuppa dal gusto sospetto, fatta per riciclare i resti di duemila anni e servirli al banchetto del mercato. E, come per la torre di Babele, nessuno osa chiedere: “A cosa serve?”. Forse perché tutti sanno perfettamente che il suo unico scopo è quello di celebrare se stessa, un piano dopo l’altro, con grande tracotanza.

Bruttezza -  Il rapporto tra arte e bellezza non è mai stato idilliaco. Sarebbe assurdo pensare che le creature mostruose di Bosch, gli incubi di Goya, i fantasmi di Blake, i volti deformi di Daumier, le silhouette abnormi di Grosz o i corpi disfatti di Bacon siano frutto della tensione verso il bello. Fin dalle origini, gli artisti hanno sempre cercato di cogliere qualcosa di molto più misterioso e complesso rispetto a una mera armonia di forme che semplicemente lusingasse lo sguardo. Ed è per questo motivo che anche il bizzarro, lo spaventoso, l’osceno, l’orribile, costituiscono da secoli  alcuni tra i soggetti privilegiati del loro lavoro. Non c’è dubbio sul fatto che il brutto abbia giocato un ruolo di primaria importanza nella storia delle belle arti. Ma, la cosa sorprendente è quanto certa arte dei giorni nostri riesca ad essere brutta anche quando si sforza di presentare oggetti di grande leggiadria formale. Un gigantesco cagnolino giocattolo, fatto di palloncini e realizzato in acciaio mirabilmente lucidato, è di certo un’opera che piace, ma la miseria assoluta del suo significato, l’irrimediabile vuotezza della sua esistenza ne fanno l’immagine orrenda di un tempo che mette mezzi smodati al servizio di contenuti  insulsi.     

C come cultura.

Comune – Tutte le città del mondo civile sono afflitte dalla presenza di un assessore comunale alla cultura, adjoint, councilor o feldmaresciallo, che dir si voglia. In generale (anche se esistono eccezioni che rendono la regola solamente più dolorosa) sono analfabeti capaci di leggere, animati da una visione, almeno a parole. Nel nostro paese si tratta per lo più di mogli, amanti, parenti e amici, mentre le nazioni dotate di un maggior senso del pudore si limitano a sceglierli tra i funzionari di partito che non ambiscono a cariche più remunerative. Il loro momento di gloria consiste quasi sempre nell’organizzazione di una mostra grazie alla quale godere della luce riflessa dagli artisti, che di questi tempi sono diventate vere e proprie stelle. Ovviamente, dichiarandosi con falsa modestia incompetenti, devono fare ricorso a un traduttore che divulghi e diffonda le loro intuizioni. Il lessico contemporaneo ha attribuito a questa figura il nome di curatore. Nel migliore dei casi si tratta di un critico e in tutti gli altri di una moglie, di un’amante, di un parente o di un amico.

Curatore - L’arte contemporanea soffre di tali e tante patologie da necessitare indiscutibilmente di cure. Purtroppo, la grande maggioranza dei curatori non porta con sé i segreti della guarigione. Anzi, spesso e volentieri inocula la malattia. In molte occasioni arriva perfino a sostituirsi agli artisti, riducendoli al ruolo di illustratori discreti dell’ arte di concepire mostre. Arte che, in questo caso, si rivela come la grande abilità di far dimenticare la mediocrità delle opere esposte. Il curatore è una nuova specie di deus ex machina, creatore di creatori, stilista dello stile, ministro senza culto in quanto sacerdote della cultura. Figura medianica capace di suscitare il contatto tra l’empireo dell’invenzione (le montagne di cianfrusaglie incomprensibili che invadono i musei) e gli inferi della consumazione (le file di turisti in ciabatte  e bermuda che aspettano di entrare proprio in quei musei). In realtà, sovente si tratta di un sofisticato rappresentante di commercio, bravo soprattutto a promuovere sé stesso ed i propri intrugli di millantato guaritore.

Solo negli altri, rari casi, si tratta di uno studioso che con serietà si propone di mettere in valore agli occhi del pubblico opere degne di questo nome.  

D come demone.

Dio - Per secoli l’arte ha tentato di dare un volto all’Invisibile. E ciò facendo ha reso visibile il volto divino dell’uomo. Capace di trascendere gli ostacoli della materia e il tempo della storia, di creare a propria immagine e somiglianza figure che andassero oltre la fedele rappresentazione della realtà, di immaginare realtà più verosimili di ogni fittizia verità quotidiana. Poi Dio è morto ed ha lasciato il mondo al Diavolo, che godeva di ottima salute. E, questa volta, cercando di mostrare quanto mostruoso egli fosse, l’arte ha conosciuto l’orrido e il sublime che stanno in ogni uomo, ha fatto vedere l’assoluta oscurità e tracciato un cammino nell’impenetrabile profondità della sua psiche, ha tradotto in immagini di terribile bellezza i suoi incubi e le sue paure. Alla fine abbiamo creduto che anche il Diavolo fosse desueto. E, rimasti senza un culto, agli artisti è sembrato non restasse altro che la cultura. Cioè quella specie di archeologia che scava nelle cose del passato e, a forza di chiose e corollari,  spesso si riassume nella pratica esangue del catalogo o della ripetizione. Così è nata un’arte senza spirito, un’arte vuota e senza futuro, perché non ha altro oggetto al di fuori di sé stessa e si condanna alla  sterilità.

Dollaro – è l’unità di misura (o dismisura) di questo mondo piccolo. L’arte che non ha più un senso ha acquisito un’enorme prezzo perché non pone più nessun problema di sensibilità, di comprensione o di adesione, il suo unico contenuto è una comoda cifra. Qualunque considerazione di ordine qualitativo è diventata insignificante rispetto al computo della quantità. Si richiede solo capacità di calcolo e audacia speculativa. Così, sempre quel cagnolino gigante fatto di palloncini, realizzato in acciaio lucidato a cinque esemplari (nemmeno dotato del pregio dell’unicità), costa come tre scuole di grandi dimensioni costruite con tutti i crismi. Inutile moltiplicare gli esempi. Sono molti e tutti li conoscono. Il denaro è oggi il valore di tutti i valori, l’opera più cara è la migliore. Quindi, la più desiderabile e, di conseguenza, il suo prezzo è destinato ad aumentare. Almeno fino a quando il suo decremento non genererà più denaro della sua crescita. In una logica governata dal demone dell’arricchimento che non conosce né bello, né brutto, né giusto, né ingiusto, né intelligenza, né stupidità.  

Continua…

 

 

28-02-2016 | 11:08