E voi quale Michelangelo preferite?
La fotografia pone sempre molti problemi e quella che si vede nella importante mostra di Firenze, alla Galleria dell’Accademia (“Ri-conoscere Michelangelo, la scultura del Buonarroti nella fotografia e nella pittura dall’ottocento a oggi”, Firenze, 16 febbraio-18 maggio, a cura di Monica Maffioli e Silvestra Bietoletti ) suggerisce qualche ipotesi che va oltre la semplice constatazione delle differenze di stile fra le immagini. La rassegna propone fotografie, dipinti ottocenteschi e dipinti recenti sull’immagine di Michelangelo. La fortuna ottocentesca delle sculture di Michelangelo passa attraverso alcune opere chiave: a Firenze il David, in seguito le Cappelle Medicee e a Roma il Mosè.
Una mostra fatta di immagini riprese in alcuni casi con negativi di carta, in altri con negativi di vetro. La tecnica della ripresa su carta e della stampa, viene utilizzata in Francia da diversi fotografi agli inizi degli anni ’50, fra questi Édouard-Denis Baldus, che la impiega proprio nel viaggio che intraprende lungo la Francia nel 1851 per documentarne i monumenti: un’impresa, la Mission Héliographique, promossa da Prosper Mérimée e alla quale partecipano, oltre a Edouard Baldus, Gustave Le Gray, Henri le Secq, Auguste Mestral, Hippolyte Bayard.
La differenza fra le due scritture fotografiche, carta e vetro, è molto netta: chi usa negativi di carta ottiene stampe morbide, contorni meno definiti, molti meno particolari, ma con una grafia fluida e sfumata; chi usa invece negativi di vetro ha stampe molto precise, ricche di dettagli, ombre e contorni definiti. I fotografi che usano, agli inizi degli anni ’50, queste tecniche, hanno ovviamente vantaggi e svantaggi: chi usa negativi e stampe di carta corre certo meno rischi nel trasportare i materiali, infinitamente più leggeri (salvo evidentemente la macchina fotografica che per tutti comporta ingombri importanti, visto il grande formato), mentre chi usa negativi di vetro ha svantaggi evidenti nel trasferimento delle lastre ma ha maggiori garanzia nella riproduzione delle immagini (vista la consistenza del supporto).
Ma la scelta dell’una o dell’altra tecnica può pensarsi legata semplicemente a problemi funzionali oppure i fotografi hanno compiuto una scelta di tipo stilistico? Chi fa storia della fotografia si deve rendere conto che i fotografi sono sempre consapevoli e quindi una precisa volontà di rendere la texture delle immagini non può essere scartata a priori. Vediamo adesso alcune fotografie, poi cercherò di ritrovare nei testi, e nei dipinti contemporanei, quella lettura differente delle opere di Michelangelo che sembra evidente nelle stampe fotografiche dei primi anni ’50.
Quando il francese Eugène Piot, attorno al 1851, fotografa il David in Piazza della Signoria lo fa usando un negativo di carta e stampa questo su carta salata, a contatto: l’immagine (fig. 1), ripresa dal basso, sospende come nel vuoto una grande forma bianca dove sono attenuati i volumi ed è scarsa la definizione dei muscoli; siamo davanti a una figura alta rispetto al suolo, Piot ha tagliato la base del piedistallo come quella del lampione in basso a sinistra.
Anche Vero Veraci, fotografo a Firenze, riprende il David sempre attorno al 1851 con negativo di carta, questa volta includendo però piedistallo e base del lampione (fig. 2). Tuttavia la lettura delle forme non cambia: si accentua l’evocazione del mondo classico a scapito dei riferimenti a quello ellenistico.
Quando Leopoldo Alinari fotografa il David fa una scelta molto diversa che è certo la tecnica del negativo di vetro vuole essere anche stilistica. Dunque ecco il David ripreso nel 1852, quando già vi sono i legni che reggono la tettoia (fig. 3) pensata per riparare la scultura dalla pioggia. Leopoldo sceglie di andare vicino alla scultura, taglia la lastra appena sotto la base del marmo che fa corpo con la figura, dilatando le forme che appaiono dense di volume e di dettagli: muscoli disegnati, chiaroscuro, insomma un altro Michelangelo. (continua)