Dalla parte di Tea Falco

Da quando è iniziata la serie “1992” su Sky non si parla d’altro. Come se i turbolenti anni di Tangentopoli –  che hanno rivoluzionato non solo l’assetto istituzionale del nostro Paese ma anche l’ordine antropologico del patto sociale tra cittadini e politica – altro non fossero che un pretesto per parlare della cattiva recitazione di un’attrice, Tea Falco, che nella serie interpreta Bibi Mainaghi, figlia in un imprenditore colluso con la cattiva politica che si suicida quasi subito – lui, non lei.

Un personaggio che è una dark lady, una cattiva ragazza, un po’ punk un po’ no, con una voce da tossica – le corde vocali bruciate da brown sugar? – che oltre ad essere bella di quella bellezza fuori dai codici estetici borghesi è anche continuamente tormentata di quel tormento che, negli anni, ha dato aura magica a tante cattive ragazze di ogni campo, da Janis Joplin a Nastassia Kinski, alle amiche superstar di Andy Warhol che cazzeggiavano nella sua famigerata factory, come ha fatto notare con acutezza Alessandra Mammì su l’Espresso nel rimarcare l’hashtag #iostoconteafalco .

Tea Falco, già vista in “Io e te” di Bernardo Bertolucci nel ruolo – guarda un po’ – della tossica, è un’attrice anomala per la scena italiana.

Primo: non è affetta da quell’alitosi enfatica tipica dei fuoriusciti dal centro sperimentale di cinematografia che, in modo oltremodo irritante, sottolineano con enfasi quasi orgasmica la fine di ogni frase: “Cha cazzo faihhhh?!”, “Devi tornare insieme a me perché io ti amohhhhh”. Tic, come detto, tipico dell’attorume italiano da soap opera nostrana e ingannevole strascico usato per coprire la mancanza di quei tempi precisi al millimetro che fanno dell’attore il grande attore. Forse lei non avrà i tempi ancora perfetti ma intanto non ha questo afflato penoso - è già questo basterebbe a farle superare molte sue colleghe.

Secondo: l’allure di Tea Falco è internazionale e non locale, che in Italia l’accezione è una sola: Roma nord o Roma sud, e poco altro. Niente in lei la geolocalizza, potrebbe essere danese come siciliana (quale è), non ha accenti, non ha cadenze, parla un po’ divorandosi le parole senza diventare incomprensibile, anzi. Quella processione sincopata di consonanti e vocali in lei assume autonomia di scrittura, ossia si ri-scrive nel detto dell’oralità – “nel detto del morto-orale” avrebbe detto qualcuno. Tea Falco “è atto, non azione”, per citare sempre quel qualcuno. Nell’immediatezza del suo agire attoriale sfugge a ogni definizione, a ogni casella da incasellamento, scivola via come una saponetta bagnata per non permettere al critico di criticare.

Terzo: come detto sui social è il primo e principale argomento di conversazione riguardante “1992” - una buona serie nata da un'altrettanto buona idea di Stefano Accorsi - tanto da riuscire a cancellare la Storia con la esse maiuscola del nostro recente passato. E la questione non è la buona o cattiva recitazione – i commentatori denigratori perché si accaniscono contro di lei, ma le hanno viste le altre attrici italiane contemporanee? Le hanno ascoltate e guardate bene? – ma il suo essere così antiborghese da rimarcare in chi guarda tutta l’insofferenza borghese per la libertà.

Lei invece è libera senza reticenze, anche di buttarsi in un ruolo difficile, e questa cosa non piace e non piacerà mai, soprattutto alle nostre latitudini. E chi è libero sa guardare oltre le convenzioni. E oltre al conformismo, che dopo qualche anno non è già più “conforme”. Per questo - lo avrete capito - anche lo scrivente sta con la “non conforme” Tea Falco. Con o senza hashtag.

 

 

20-04-2015 | 20:42