Cronaca di un Nobel

Ginevra 8 ottobre 2013.

Ore 11:45. C’è trepida attesa al pianterreno dell’edificio 40, una doppia torre di sei piani sul campus del CERN, che ospita gli uffici di molti dei seimila fisici sperimentali appartenenti alle collaborazioni ATLAS e CMS; due sigle che indicano anche i nomi di due giganteschi rivelatori di particelle, grandi come lo stesso edificio, ma sepolti 100 metri sotto la campagna franco-svizzera, alla periferia di Ginevra, in corrispondenza di due punti in cui si incrociano i fasci di protoni del Large Hadron Collider. ATLAS e CMS hanno identificato poco più di un anno fa l’entità fisica più ricercata della scienza moderna: il bosone di Higgs, il “quanto” del “campo” grazie al quale tutto l’Universo noto acquisisce la sua esistenza. Gli schermi sulle pareti dell’edificio 40 trasmettono la diretta web da Stoccolma dell’annuncio del Nobel per la fisica 2013 previsto, appunto, per le ore 11:45. Alla scadenza, il conto alla rovescia sulla schermata di Nobelprize.org riparte, con l’annuncio di mezz’ora di ritardo.

Ore 12:10. Il countdown riparte, ancora trenta minuti. In rete, e tra i fisici che affollano la hall del building 40, impazzano speculazioni sulle ragioni del ritardo del Comitato Nobel, storicamente preciso come un orologio svizzero. Nasce persino un twitter account ironico: #fakenobeldelayreasons.

Ore 12:45. Dopo l’inconsueto ritardo di un’ora – qualunque sia la ragione, i membri del Comitato Nobel non potranno rivelarla prima di cinquanta anni – giunge l’annuncio, accompagnato dal countdown scandito in coro dai fisici al CERN. “Il premio di quest’anno riguarda qualcosa di molto piccolo, che fa tutta la differenza…”. Sono bastate queste prime parole, pronunciate in apertura di conferenza stampa da Staffan Normark, Segretario Permanente della Royal Swedish Academy of Science, per scatenare il primo di un crescendo di applausi. Prosegue l’annuncio. “La reale accademia delle scienze svedese ha deciso di assegnare il premio Nobel per la fisica 2013 al prof. Francois Englert dell’Université Libre de Bruxelles, Belgio…”. Proseguono gli applausi, ancora più intensi: è ormai certo che il Premio di quest’anno va al bosone trovato al CERN! Quando poi Normak pronuncia il nome di Peter Higgs, sembra di essere allo stadio e il tripudio diventa inarrestabile alla lettura della motivazione del Premio:" …per la scoperta teorica di un meccanismo che contribuisce alla comprensione dell’origine della massa delle particelle subatomiche, recentemente confermato attraverso la scoperta della particella fondamentale prevista dagli esperimenti ATLAS e CMS al Large Hadron Collider del CERN”.

Il premio va ai fisici teorici (nella foto sopra Francois Englert, a sinistra, e Peter Higgs, a destra, al CERN in occasione del seminario in cui fu annunciata la scoperta del bosone di Higgs, il 4 luglio 2012) che nel 1964 avevano proposto per primi, e indipendentemente, la spiegazione matematica di quello che era, fino al luglio 2012, uno degli enigmi irrisolti della fisica contemporanea. Ma il comitato di Stoccolma cita esplicitamente le collaborazioni ATLAS e CMS (6000 fisici e oltre 180 istituti di una cinquantina di paesi dei cinque continenti), cita il grande collider LHC, lo strumento dalla circonferenza di 27 km progettato e costruito da team di fisici, ingegneri e tecnici negli ultimi vent’anni, e infine il CERN, che ha coordinato e gestito tutto il lavoro e sviluppato la griglia di calcolo per analizzare e conservare i dati delle collisioni (40 milioni ogni secondo). Una soluzione elegante per riconoscere un gigantesco sforzo collettivo, senza tradire le regole dettate dal testamento di Alfred Nobel, che prevede l’attribuzione del Premio a soli individui e non a istituzioni.

Tra le particelle inafferrabili che affollano il mondo subatomico, il bosone di Higgs è sicuramente quella più ricercata. La sua ricerca dura dal 1964, quando i due teorici premiati, e almeno altri quattro (Robert Brout, scomparso nel 2011, Tom Kibble, Gerry Guralnik e Peter Hagen) la teorizzarono. La sua scoperta è stata, fino al 4 luglio 2012, uno degli obiettivi principali del programma di ricerca del Large Hadron Collider, definito dallo stesso comitato del Nobel 2013 “probabilmente la macchina più grande e complessa mai costruita dall’umanità”. 

Ma cos’è che rende questa particella così speciale? Facendo un paragone con scienze più vicine agli interessi quotidiani, il bosone di Higgs sta alla fisica come il DNA alle scienze della vita: possiamo dire che è una sorta di anello, ora non più mancante, nella comprensione della struttura intima dell’Universo e della sua origine. Per capire meglio di cosa si tratta, bisogna spostare l’attenzione dal concetto di particella al concetto di campo, poiché il bosone di Higgs altro non è che la conferma dell’esistenza di un campo molto speciale, senza il quale nulla sarebbe reale e tutto rimarrebbe in uno stato “virtuale”, privo di esistenza concreta.

Tutti noi conosciamo almeno due dei “campi” esistenti in natura, i cui effetti sono davanti ai nostri occhi ogni giorno: quello gravitazionale, che ci consente di restare in piedi sul nostro pianeta, e quello elettromagnetico, alla base del funzionamento di qualsiasi strumento elettronico, dal telefonino al laptop. Gli altri due campi fondamentali, che fanno funzionare il nostro universo, sono quello generato dalla forza nucleare forte, che tiene assieme i quark all’interno dei protoni e neutroni, e quello generato dalla forza nucleare debole, responsabile dei processi nucleari che fanno brillare il sole e altre stelle (i cui bosoni, trovati al CERN nel 1982, diedero il Nobel per la fisica 1984 a Carlo Rubbia e Simon van der Meer). Questi quattro campi fondamentali, a noi invisibili, ma i cui effetti sono assolutamente misurabili, possono variare in intensità, da un massimo a un minimo, che può essere anche zero.

Il campo di Higgs è, per il momento, unico nel panorama dei campi della fisica. Se dovessimo svuotare tutto lo spazio da tutte le particelle e le forze in esso contenute, il campo di Higgs non scomparirebbe, perché il campo di Higgs pervade tutte le dimensioni dello spazio-tempo ed è sempre uguale a se stesso, in ogni direzione (per questo si definisce in gergo “campo scalare”). Un po’ come l’etere degli antichi greci. Tutte le particelle e tutti gli altri campi acquisiscono la loro esistenza (in gergo, la loro massa) attraverso l’interazione con questo campo, che è a monte di tutto, e la loro massa sarà più o meno grande a seconda dell’intensità della loro interazione col campo. Se non ci fosse, gli elettroni non avrebbero massa e si disperderebbero alla velocità della luce, non ci sarebbero gli atomi né le molecole e l’universo sarebbe rimasto il luogo perfettamente simmetrico e immutato che era al momento del Big Bang, quando tutte le particelle erano prive di massa, e tutte le forze riunite in un’unica forza primordiale. Tutto questo fino a 10-11 secondi (zero virgola undici zeri e un secondo) dopo il Big Bang, quando è sopraggiunto il campo di Higgs a rompere la simmetria iniziale tra le forze della natura. Insomma, senza il campo di Higgs le particelle esisterebbero ma si muoverebbero alla velocità della luce e non avrebbero massa. 

Dietro il velo astratto della matematica incomprensibile delle equazioni di Brout, Englert e Higgs (BEH in sigla), si nasconde proprio la descrizione scientifica dell’istante (13,8 miliardi di anni fa) in cui l’universo perse la sua simmetria iniziale e la forza unica dell’origine si ruppe in entità diverse: quella che avrebbe tenuto i quark uniti nel nucleo atomico, quella che avrebbe trasmutato la materia creando elementi diversi e quella che avrebbe consentito le reazioni chimiche tra gli atomi. Grazie al campo di Higgs, l’universo è evoluto nel luogo complesso e interessante che vediamo oggi. Possiamo dire che questo è il campo che “inventa” la materia. E il suo quanto, un bosone che si è meritato il nome di particella di Dio. 

(per vedere il filmato del CERN: http://cds.cern.ch/record/1607120)

11-10-2013 | 18:59